Green bond e sostenibilità di facciata. Opportunità e opportunismo

Negli ultimi anni si è assistito ad un aumento significativo delle emissione di green bond. Strumenti obbligazionari destinati alla raccolta di capitale per progetti eco sostenibili. Un processo che alloca sempre più risorse verso investimenti green ma che fa i conti con il problema della sostenibilità di facciata.

Concludiamo oggi la settimana dedicata interamente al tema del climate change. Abbiamo cercato di capire come la finanza possa giocare un ruolo fondamentale nello stimolare i sistemi economici ad accelerare la transizione dall’energia fossile al rinnovabile. Abbiamo visto quali siano i costi per le imprese e perchè diventare sostenibili porti vantaggi anche dal punto di vista della profittabilità.

I sondaggi evidenziano come stia aumentando la consapevolezza della grande sfida climatica che abbiamo di fronte. Le migliaia di ragazzi che, ispirati da Greta Thunberg, negli ultimi mesi, hanno riempito le piazze e le strade in Italia e nel mondo, sono la dimostrazione che c’è una coscienza ambientale che si agita e vuole risposte. I ragazzi di oggi saranno i consumatori di domani; tanti tra di loro già lo sono o influenzano le preferenze di acquisto di genitori e conoscenti.

Molte imprese hanno risposto a queste nuove esigenze. Molte di loro hanno anche capito che l’impronta green può diventare un pass preferenziale per raccogliere capitali con i quali investire nelle nuove tecnologie, nella sostenibilità della produzione e nella trasparenza della governance.

Il fenomeno dei green bond si incastra perfettamente in questo quadro. Un rapporto del Climate Bonds Initiative (2018) ci racconta del successo di questi strumenti obbligazionari, destinati a raccogliere capitali per finanziare progetti ecosostenibili. Dal 2008 al 2018 sono stati emessi 521 miliardi di dollari di green bond. Solo nella prima metà del 2019 ne sono stati sottoscritti 100 miliardi di dollari e la stima per l’intero anno arriva a 251 miliardi di dollari.

La Banca Mondiale, prima istituzione ad emettere questa tipologia di titoli, ha tracciato una strada seguita poi da decine di altre istituzioni, fino ad arrivare alle società private. Di pari passo si sono sviluppati protocolli di riferimento per l’emissione di green bond. La CBI ha pubblicato nel 2010 il “Climate Bonds Standard and Certification Scheme”, l’International Capital Markets Association (ICMA) ha inserito le tematiche green nelle sue linee guida nel 2014.

Un circolo virtuoso, fatto di consapevolezza o solo di emulazione, che sta portando ad una sempre maggiore allocazione di capitali verso progetti di sviluppo sostenibile, inteso in tutte le sue sfaccettature: dall’ambiente ai temi dell’inclusione sociale; dalla lotta alla povertà alla trasparenza della catena produttiva e di comando delle società. Gli investimenti sono la chiave per accelerare lo sviluppo di nuove tecnologie tese a ridurre considerevolmente la dipendenza dall’energia fossile, rendendo la green economy sostenibile anche in termini di costi.

Non mancano i problemi. Oltre alle difficoltà politiche che scelte così drastiche portano con sè, occorre combattere un fenomeno che rischia di drenare risorse : la sostenibilità di facciata. Una sostenibilità nella forma ma non nella sostanza, tesa a ingannare gli investitori ed i consumatori, al solo fine di mantenere in piedi modelli di business destinati a morire nel lungo periodo.

Il rapporto dell’FMI cita i casi del bond emessi in Cina col nome di “Carbone pulito” o le recenti emissioni di alcune compagnie petrolifere. Per evitare che la sostenibilità di facciata riesca nel suo intento, occorre da un lato sottoporre le nuove emissioni obbligazionarie a rigidi protocolli di certificazione, come quelli sviluppati da CBI ed ICMA; dall’altro occorre uno sforzo di attenzione da parte degli investitori. Mai come ora è necessario adottare uno stile di investimento consapevole.

Foto di Quang Nguyen vinh

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