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Politica monetaria, i suoi tentacoli sul mercato immobiliare

L’ondata di politica monetaria restrittiva comincia a far sentire i propri effetti nel mercato immobiliare, sul cui futuro prossimo si ammassano nubi minacciose.

La scorsa settimana il tasso medio applicato sui mutui trentennali negli USA ha toccato il 7.08%. Si tratta del livello più alto da vent’anni a questa parte; più del doppio rispetto a fine ottobre del 2021 (3%); un punto percentuale abbondante guadagnato in appena sette settimane.

Basterebbe questo dato per intuire le enormi conseguenze della politica monetaria sul fronte del mercato immobiliare, ma se si inizia a guardare all’andamento dei prezzi – indice sintetico per eccellenza dello stato di salute del mercato del mattone – le cose diventano ancora più chiare. Negli USA l’indice Case-Shiller ha segnato nel mese di agosto la peggior variazione mensile dal 2009, un -1.6% che rappresenta il secondo mese consecutivo con variazione negativa ed il quinto consecutivo di calo.

Ma il fenomeno non è solo statunitense. In Canada il prezzo delle abitazioni è sceso del 9% dal febbraio scorso. In Gran Bretagna, nel mese di settembre, l’indice elaborato da NationWide è tornato ad una crescita annua a singola cifra dopo quasi un anno. Dati analoghi si riscontrano in molti paesi del Nord Europa e dell’Asia meridionale. In Svezia, ad esempio, gli ultimi dati SBAB ci dicono che i prezzi delle abitazioni singole sono scesi del 19% dall’ultimo picco, quattro punti percentuali persi in un solo mese, e le aspettative sono per un ulteriore consistente calo nei prossimi mesi. Un discorso a parte lo merita poi la Cina, dove la crisi del settore immobiliare, esemplificata dall’affair Evergrande, ha radici più profonde e meno legate alla politica monetaria (che del resto lì rimane accomodante).

Quando si parla di mercato immobiliare e di calo dei prezzi, subito la mente corre veloce al 2008. L’anno dello scoppio della crisi dei mutui subprime, infatti, è lo spauracchio che qualcuno agita per accusare, velatamente, le banche centrali di agire con un piglio un po’ troppo deciso, capace di esporre al rischio di conseguenze pesanti sul fronte della stabilità del sistema finanziario.

Di certo il valore del mattone è cresciuto in maniera sostenuta nel biennio 2020-2021, spinto da una politica monetaria estremamente espansiva e da un aumento delle richieste di abitazioni figlio, anche, della pandemia. Un surriscaldamento notato dalle stesse banche centrali – ricordiamo qui il report della FED di qualche mese fa – e che interessa un asset che vale qualcosa come 250 trilioni di dollari (quasi tre volte il valore del mercato azionario globale), vale a dire metà della ricchezza globale.

Rispetto al 2008 il sistema bancario pare godere di maggior salute. La qualità del credito concesso è migliorata, ma di fronte ad un’accelerazione dei tassi di interesse così repentina qualcosa può sempre sfuggire al controllo. A preoccupare è soprattutto la tenuta dei bilanci familiari che sotto il peso dell’inflazione e dell’aumento degli oneri finanziari potrebbe venire meno. Non è un caso se paesi come l’Ungheria abbiano già imposto dei limiti alla crescita delle rate dei finanziamenti ed altri, come la Spagna, stiano per farlo.

Forse il mercato immobiliare non scoppierà in stile bolla, ma gli effetti sul fronte dei mutui potrebbero rappresentare un ulteriore problema per i consumi e quindi per la crescita economica globale nei prossimi mesi. Altro fronte caldo in arrivo, e non se ne sentiva certo la mancanza.

Foto di F. Muhammad

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