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Lo strano caso di Ark e Dalio

Cosa hanno in comune la ARK fondata da Cathie Wood ed i fondi risk parity ideati da Ray Dalio? Per motivi diversissimi entrambi stanno vivendo un periodo di pesante disinvestimento.

Correva l’anno 2020 e le restrizioni dovute alla pandemia svelavano al mondo le infinite potenzialità delle nuove tecnologie. Le persone si incontravano su Zoom, gli acquisti erano soprattutto online, il tempo libero era speso collegandosi a qualche piattaforma di streaming. In questo clima da technology disruption emergeva negli ambienti finanziari la figura di Cathie Wood e della sua società di investimenti, la ARK Investment. Il suo fondo più famoso, l’Ark Innovation Fund, divenne in poco tempo una specie di must have per gli investitori di tutto il mondo, legando il suo successo all’euforia nata attorno a società come Zoom, Roku e Tesla. Nel solo 2020 il capitale gestito da ARK è aumentato di oltre 20 miliardi di dollari. Nel giro di due anni – da aprile 2019 ad aprile 2021 – la creatura più famosa di Wood ha registrato una performance del +155%, mentre nello stesso periodo lo S&P500 ha raccolto “solo” il 41% di crescita (fonte dati FacSet da WSJ).

Altra storia, altro tipo di investitori. Nel 1996 Ray Dalio, il fondatore di Bridgewater Associates ed uno dei “massimi esperti” in tema di hedge funds, lancia una particolare strategia di investimento chiamata risk parity. In estrema sintesi si tratta bilanciare il rischio di portafoglio tra le diverse classi di asset che lo compongono, attribuendo più peso a quelle meno volatili ed utilizzando un’allocazione dinamica per mantenere un’esposizione equilibrata al rischio complessivo del portafoglio. La prova del nove per questa tipologia di fondo speculativo è il 2008 e l’intuizione di Dalio la supera. La strategia risk parity entra stabilmente nei portafoglio dei grandi investitori istituzionali, primi fra tutti i fondi pensione.

Quelli appena descritti sono due strumenti completamente diversi, sia per genesi che per obiettivi. Eppure, in questi ultimi mesi, stanno condividendo uno stesso destino: la perdita di investitori. Da quel biennio d’oro (2020-2021) il fondo ARK Innovation ha collezionato solo performance negative. L’uscita dalla pandemia ed il relativo ridimensionamento di alcune società, unite al rialzo dei tassi di interesse che ha colpito in maniera pesante il settore tecnologico, sono tra le cause principali di questa caduta dal paradiso. Ma qualcuno suggerisce che forse il fondo ha puntato sulla technology disruption sbagliata, eliminando nel 2021 Nvidia dal proprio portafoglio e mancando l’aggancio diretto al treno dell’AI.

I numeri sono impietosi. Nel 2024 il patrimonio gestito da ARK è sceso di 2,2 miliardi di dollari, quasi il doppio delle perdite accumulate nel biennio 2022-2023; una flessione del 30% in soli quattro mesi. Dall’aprile del 2019 ad oggi la performance del fondo Innovation è scesa dal +191% di gennaio 2021 al -9.8% di questi giorni. Lo S&P500 da quel fine aprile di cinque anni fa registra un +70% tondo. Investitori delusi e che di fronte a perdite sempre più ingenti decidono di lasciare una barca sempre più traballante.

Meno drammatica in termini di performance, ma simile nella delusione è la situazione dei fondi risk parity. Dopo aver egregiamente fatto il loro dovere durante la grande crisi finanziaria, qualcosa si è rotto e dal 2019 ad oggi (dati Bloomberg) i fondi speculativi che hanno adottato questa strategia di controllo della volatilità hanno sempre fatto peggio rispetto ad una classica strategia 60-40 (60% azionario e 40% obbligazionario). In sostanza, una gestione passiva avrebbe dato risultati migliori – semplifichiamo – rispetto ad un fondo speculativo ad alta gestione attiva. Le conseguenze sono ovvie: nel 2023 i disinvestimenti da questa tipologia di fondo sono stati pari a 90 miliardi di dollari (contro il +160 miliardi del 2021 – fonte Bloomberg). Il risk parity fund di casa Dalio ha perso qualcosa come 70 miliardi di capitalizzazione dal picco di tre anni fa ad oggi.

Lo strano caso dei fondi ARK e della strategia risk parity di Dalio è qualcosa che intriga ed inquieta nello stesso tempo. Da un lato abbiamo un fondo che più growth e più propenso al rischio non si potrebbe, una diversificazione estremamente bassa (basti pensare che nell’Innovation il 40% del portafoglio è rappresentato da sette azioni) e – a detta di molti analisti – una gestione troppo accentrata sulla figura della fondatrice. Dall’altro, invece, ci troviamo di fronte ad un fondo che ha come scopo principale ridurre la volatilità e che basa gran parte della sua fortuna su una diversificazione del portafoglio spinta ai massimi.

In questa doppia storia emergono due elementi di riflessione che vale la pena sottolineare. Il primo riguarda il tema della diversificazione. Diversificare fa bene, intendiamoci, ma in un mondo finanziario nel quale gli asset sembrano sempre meno negativamente correlati la ricerca di una diversificazione efficace diventa molto complessa. La seconda riflessione è sul peso che la parola volatilità (aka rischio) ha nelle scelte di investimento. Ed vien da pensare che sia un peso leggerissimo se non ci si aspettano svolazzi ingenti da un fondo come ARK, soprattutto nel breve-medio termine, ed un rendimento “smussato” da un fondo che fa del controllo del rischio il suo mantra.

Illustrazione di Gerd Altmann

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