L’ultimo aggiornamento dello Human Development Index elaborato dalle Nazioni Unite mostra segnali di ripresa rispetto al biennio precedente, ma tra le pieghe dei numeri ci sono indizi di mutamenti strutturali sul cammino del progresso economico e sociale del nostro pianeta.
Dopo anni segnati dalla crisi pandemica ed in un contesto geopolitico ad alta tensione, i numeri dell’ultima edizione dello Human Development Report curato dalle Nazioni Unite erano particolarmente attesi. Il rapporto, pubblicato qualche settimana fa, sembra indicarci che il mondo si è nuovamente incamminato sulla strada del progresso economico e sociale, ma il cammino intrapreso non pare essere quello abbandonato nel fatidico 2020.
Lo strumento utilizzato dalle Nazioni Unite per fotografare l’evoluzione del progresso sociale ed economico globale è l’Indice di Sviluppo Umano (HDI), un indicatore statistico composto che valuta il benessere di una società attraverso tre principali dimensioni: aspettativa di vita, istruzione e reddito pro capite. L’HDI varia da 0 a 1, dove 1 rappresenta il massimo sviluppo umano e 0.80 è l’obiettivo da raggiungere entro il 2030 secondo i Sustainable Development Goals redatti dall’ONU.
Le ultime stime vedono uno Human Development Index in ripresa per il 2023 dopo due anni consecutivi di calo. In termini numerici si passa dagli 0.72 punti del 2022 a 0.73 punti. Una ripresa lenta che rimane ben al di sotto della traiettoria disegnata nel periodo 1999–2019, che si allontana dall’obiettivo 0.80 punti entro il 2030 e che soprattutto è altamente disomogenea. Se tra i paesi membri dell’OCSE il recupero dalla frenata 2020-2021 può dirsi completato, nei paesi meno sviluppati solo il 49% ha recuperato il tempo perduto. Dopo 20 anni di calo, dal 2020 in poi la differenza tra il gruppo di paesi nei piani alti della classifica e quello nelle retrovie è tornata a salire.
Nel corposo documento curato dalle Nazioni Unite emergono ancora tutte le scorie del periodo pandemico. La perdita di 15 milioni di vite, scrivono gli autori, rappresenta una ferita non rimarginabile per lo sviluppo umano globale. E collegati alla pandemia appaiono anche i dati relativi ad un diffuso peggioramento del benessere psichico ed al calo, impressionante, delle competenze in matematica, scienze e lettura della popolazione sotto i 25 anni (la componente core della forza lavoro che verrà).
A questo quadro già di per sè zoppicante si aggiungono le potenziali conseguenze di una situazione geopolitica completamente mutata rispetto a qualche anno fa. La globalizzazione che aveva consentito un sviluppo economico su larga scala, seppur spinta ai massimi e piena di contraddizioni, segna il passo, ma l’interdipendenza tra i paesi rimane elevata. Questo disegna uno scenario nuovo, una nuova era ancora tutta da delineare.
Non manca, infine, ma appare davvero come un elemento secondario, una classifica sui paesi con i migliori standard di vita del 2022. Al primo posto c’è la Svizzera (4° nel 2021), seguita dalla Norvegia (posizione confermata) e dall’Islanda (4°). Delle prime 10 nazioni, sette sono europee.
Foto di Edgar Winkler