La vicenda Evergrande ha riacceso i riflettori sul settore immobiliare cinese, tra debiti monstre e possibili impatti sull’economia del paese.
Sul finire di settimana scorsa è arrivata la notizia che il colosso del settore immobiliare cinese Evergrande è riuscito a pagare gli 83 milioni di dollari di cedole scadute il 23 settembre scorso, evitando così, di un soffio, il default.
Si tratta dell’ultimo tassello di una vicenda sulla quale può essere utile tornare con qualche numero in più. Perchè la crisi di Evergrande, che è in realtà la crisi del settore immobiliare cinese, mostra come possa nascere una bolla speculativa e contiene le tracce del “metodo” applicato dalle autorità cinesi per tentare di risolverla.
Fino agli anni 90 dello scorso secolo possedere una casa di proprietà era uno dei sogni proibiti della maggior parte dei cittadini cinesi. Niente di romantico, la legge, infatti, lo proibiva ed il tetto sotto cui vivere era “garantito” dal datore di lavoro (che nella stragrande maggioranza dei casi coincideva con lo stato centrale). Nel 1998 lo stato decise di abbandonare i piani di edilizia popolare e da quel momento la corsa all’immobile non ha più avuto restrizioni. Una corsa forsennata, tanto che a fine 2020 il 96% di chi abitava in un centro urbano cinese possedeva almeno un immobile (fonte Banca Centrale Cinese), contro ad esempio il 65% dei cittadini statunitensi (fonte WSJ).
Gli attori di questo boom immobiliare sono tre: lo stato (centrale o locale), i costruttori ed i risparmiatori. Lo stato, oltre ad aver dato il via alla corsa all’immobile, ha beneficiato della massiccia vendita di terreni, rimpolpando le casse delle amministrazioni locali. Sempre secondo le statistiche ufficiali cinesi, alla fine del 2020, il mega cantiere cinese – ossia tutte le superfici con edifici in costruzione sparse nel paese, copriva un’area di 1,6 milioni di acri.
I costruttori dal canto loro sono stati i protagonisti di una scalata da record, conquistando negli anni le classifiche dei paperoni cinesi e le proprietà delle squadre di calcio (con ricchi ingaggi di giocatori internazionali inclusi). La benzina per questo grande salto è arrivata da più parti. Certamente dalle vendite di immobili, ma anche da investitori esteri, grandi banche e soggetti intermedi (tra cui le discusse shadow banks). Il risultato, secondo i dati di Nomura Holdings Inc, è un debito complessivo che supera i 5 mila miliardi di debito (quasi la metà verso banche), il doppio di quanto era nel 2016, più grande, ricorda il WSJ, del PIL giapponese. E mentre lo stato cominciava a correre ai ripari inasprendo le condizioni per concedere prestiti ai “palazzinari”, questi hanno iniziato a ricorrere all’extrema ratio: la vendita su progetto, incassando liquidità prima di realizzare gli immobili. Qualcuno si è spinto anche oltre, come appunto Evergrande.
Il terzo protagonista della vicenda sono i risparmiatori. Soddisfatta la domanda di abitazione, le famiglie cinesi hanno cominciato a guardare al mattone come ad una invitante opzione di investimento, da preferire ai mercati azionari volatili ed alle limitate possibilità di investimento all’estero. Anche qui qualche numero aiuta a capire la situazione: una ricerca di Rogloff e Yang ricorda che alla fine del 2018 l’87% di chi aveva acquistato un immobile ne possedeva già almeno uno.
Le bolle speculative scoppiano quando qualcuno o qualcosa segnala che i prezzi non possono crescere ulteriormente. Prima la pandemia e poi le restrizioni ai prestiti hanno inceppato il meccanismo. Ad agosto – dati Oxford Economics riportati dal WSJ – l’attività di costruzione è scesa del 13.6% sotto i livelli pre-pandemia. Incalzati dai debiti oltre 200 mila piccoli costruttori hanno alzato bandiera bianca negli ultimi mesi, molti altri sono tentati dalla vendita a sconto, pur di incassare. La spirale è presto descrivibile: prezzi in discesa, costruttori che falliscono, garanzie che svaniscono e via discorrendo.
La risposta del governo cinese è stata molto probabilmente tardiva, condizionata dai benefici in termini di PIL e occupazione che il settore garantiva. La limitazione sui prestiti concessi ai costruttori è stata aggirata ed i ripetuti moniti sul non fare speculazione con l’immobiliare sono caduti nel vuoto. La scarsa efficacia della moral suasion governative deriva dalla convinzione che l’ente centrale, per evitare guai peggiori, alla fine decida sempre per l’intervento. Del resto, sui mercati internazionali, di fronte alla vicenda Evergrande il pensiero più condiviso era sempre lo stesso: il governo interverrà, continuando a garantire un estremo paracadute all’intero settore.
Ora, a Pechino la tentazione di far fallire qualche società per “educare” gli altri protagonisti della vicenda – parafrasando Mao Zedong – è tanta, ma c’è un problema. Il settore immobiliare conta per quasi il 30% dell’attività economica cinese (Rogloff – Yang, 2020) ed i mutui ipotecari rappresentano circa il 27% del totale di prestiti erogari dal sistema bancario cinese. Percentuali troppo importanti anche a quelle latitudini, soprattutto in un momento congiunturale così complicato.
Foto di Paul Henri Degrande