Andamento dei prezzi, l’altra tesi: stagflazione

Sull’andamento dei prezzi in questa fase del ciclo economico il dibattito rimane acceso. Dopo aver visto la tesi deflazionista, oggi ci occupiamo di un altro punto di vista: quello che vede i prezzi in salita ed un rischio stagflazione.

Martedì vi parlavamo di come sul fronte macroeconomico si sia riacceso il dibattito sul futuro andamento dei prezzi. Abbiamo detto della tesi deflazionista che vede nel dopo pandemia riemergere le tendenze di lungo periodo e la loro spinta ad un abbassamento dei prezzi. Oggi proviamo a riassumere la tesi opposta, vale a dire quella che ritiene l’attuale movimento al rialzo dei prezzi un fenomeno non transitorio e che, nell’ipotesi peggiore, paventa la possibile comparsa di episodi di stagflazione. Eccola l’altra “parola grossa” che gira in questi giorni.

Ma andiamo con ordine. Andando a riprendere le prime stime delle banche centrali, più o meno di fine estate 2020, alla voce andamento dei prezzi si citava il base effect, ormai scomparso dai radar. I prezzi, si sosteneva, avrebbero visto una fiammata transitoria dettata in larga parte dal confronto con un periodo di deflazione causato dai lockdown.

Ad oltre un anno di distanza la situazione sembra radicalmente cambiata, tanto che anche tra i membri del board della FED comincia a serpeggiare un certo disappunto nell’utilizzo della parola “transitoria”. Le materie prime continuano la loro corsa al rialzo e, cosa che fa ripensare allo scenario degli anni 70 dello scorso secolo, salgono con forza i prezzi dell’energia e dei beni alimentari.

Secondo la tesi sostenuta, tra gli altri, da Larry Summers, Kenneth Rogoff e Mohamed El-Erian la vorticosa ascesa dei prezzi, dovuta ad un evidente problema dal lato dell’offerta, sta progressivamente indebolendo la ripresa economica post-pandemia. In particolare l’aumento dei prezzi dell’energia e dei beni alimentari rischia di ridurre i consumi e bloccare gli investimenti delle imprese, in altre parole di azzoppare la domanda. Gli ultimi dati macroeconomici non sembrano incoraggianti. Tra sondaggi PMI e stime di PIL, il rallentamento della crescita economica globale è evidente, ed anche sul fronte del lavoro i progressi risultano ancora scarsi. Secondo un sondaggio di Deutsche Bank AG, la maggioranza degli operatori di mercato intervistati ritiene probabile un qualche episodio di stagflazione. Si, perchè la conseguenza estrema di questa combinazione, prezzi in salita ed economia che non cresce, ha un nome ben preciso in macroeconomia: stagflazione.

La preoccupazione maggiore del partito degli “inflazionisti” deriva dalla generale volontà da parte della politica monetaria ed, in parte, di quella fiscale, di concentrare tutte le proprie attenzioni sui livelli occupazionali. In questo senso vengono lette le recenti revisioni della politica monetaria della FED e della BCE, lasciare andare i prezzi un po’ più su in cambio di un recupero di posti di lavoro. Secondo gli inflazionisti questo è esattamente lo stesso “errore” commesso dai banchieri centrali negli anni 70. Una scommessa che potrebbe costare cara, costringendo le banche centrali ad un rapido, e traumatico, cambio di strategia.

Foto di Thomas Breher

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