Roubini e lo shock dell’offerta

Per l’economista americano la prossima recessione potrebbe essere scatenata da uno shock dell’offerta. E questo, a differenza del 2008, quando la causa principale fu uno shock dal lato della domanda, dovrebbe modificare l’approccio delle politiche monetaria e fiscale.

In un interessante articolo pubblicato su Project Syndicate , l’economista Nouriel Roubini, noto per le sue previsioni sulla crisi finanziaria del 2006, intravede le possibile cause di una prossima recessione: la guerra commerciale tra USA e Cina, la sfida tra i due paesi sulla tecnologia (AI, 5G e robotica) e le tensioni sul prezzo del petrolio.

Secondo Roubini lo scatenarsi di uno o più di questi fattori porterebbe ad un aumento dei prezzi dei beni importati. Un fenomeno che avrebbe come conseguenza una riduzione della produzione ed un inceppamento delle catene globali di approvvigionamento. In altre parole, l’economista descrive quello che in macroeconomia viene chiamato shock dell’offerta.

Quando i prezzi della produzione aumentano le aziende tendono a reagire aumentando i prezzi dei beni finiti e riducendo la produzione. In termini aggregati, nel breve termine, ci si trova quindi di fronte ad un aumento dell’inflazione e ad una riduzione della crescita (stagflazione). La risposta dal lato della domanda sarà in termini di minori consumi e minori investimenti, dovuti ad una diminuzione del reddito disponibile.

Nel momento in cui gli effetti degli shock dell’offerta si trasferiscono sulla domanda si aprono le porte ad una fase recessiva dell’economia. La ricerca di un nuovo equilibrio tra domanda ed offerta porterà, nel lungo termine e a parità di produzione potenziale del sistema, ad una diminuzione dei salari reali.

Tornando all’attualità, Roubini sostiene che già ora alcuni settori industriali sono in fase recessiva. Tuttavia una recessione globale non si è ancora presentata per il solo fatto che la spesa per consumi continua a tenere.

Se uno degli effetti di uno shock dell’offerta è l’aumento dell’inflazione ci si può attendere che la politica monetaria intervenga, togliendo liquidità (alzando i tassi) per controllare la crescita dei prezzi. Lo fece la FED nei primi anni 80, quando a seguito di uno shock dell’offerta causato dall’impennata del prezzo del petrolio, decise una stretta monetaria per contrastare l’inflazione. Il risultato fu catastrofico e gli USA si ritrovarono in una recessione ancora peggiore di quella sperimentata ad inizio anni 70.

La politica monetaria non può contrastare uno shock dell’offerta ma può, nel breve periodo, ridurne gli effetti sulla domanda. Considerati i bassi tassi di inflazione attuali la strategia migliore per la politica monetaria sarebbe, nel breve termine, quella di “accompagnare” questi shock dell’offerta sostenendo la domanda aggregata e quindi sostanzialmente mantenendo la politica monetaria espansiva già in atto.

Nello stesso tempo la politica fiscale dovrebbe porre in essere un mix di interventi anti-ciclici capaci di attenuare gli effetti di riduzione dei consumi e del reddito disponibile.

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