L’Europa è alle prese con un forte rincaro dei prezzi dell’energia. Una crisi scatenata dalla concomitanza di fattori macroeconomici, politici ed ambientali. Una tempesta perfetta che ci ricorda tutta la fragilità dell’attuale sistema economico.
Qualche giorno fa il ministro per la transizione ecologica del governo Draghi, Roberto Cingolani, ha avvertito i consumatori dei rincari in arrivo sulle bolletta di luce e gas. Quello che a molti nel nostro paese è parso un fulmine a ciel sereno, con la conseguente solita bagarre nostrana, è in realtà una sorta di tempesta perfetta scatenatasi sull’Europa e che ha tra le sue cause praticamente tutto il repertorio dell’attualità economica mondiale.
I numeri di ICE ed EEX elaborati da Bloomberg.com sono sufficienti a capire la situazione. Ponendo a 100 il prezzo del gas naturale, del carbone e dell’elettricità al primo gennaio 2021, oggi la situazione è da allarme rosso: l’energia elettrica costa 200, il carbone poco meno di 200, il gas naturale è salito di quasi il 250%.
Cos’è successo? La ripresa post-pandemia con la sua pent-up demand ha alimentato una “fame di energia” da livelli record, ma dal lato dell’offerta la risposta si è rapidamente dimostrata troppo scarsa. Nel più classico degli incroci tra domanda ed offerta, i prezzi hanno cominiciato a salire. L’Europa, in questo frangente, è l’area economica che sta subendo le conseguenze più pesanti, e questo per diversi fattori. In una sorta di tempesta perfetta l’offerta europea di energia si è trovata ad affrontare simultaneamente una domanda record, una disponibilità ridotta di gas naturale (manutenzione dei gasdotti, riduzione delle forniture russe, meno offerta dall’Asia e costi più alti per far arrivare il gas liquefatto da quell’area) e condizioni climatiche che hanno condizionato fortemente la produzione di energia eolica, particolarmente importante nei paesi europei del nord (la velocità dei venti che soffiano sul mar del Nord è la più bassa da venti anni a questa parte). A tutto ciò si aggiunge anche un mercato dell’energia europeo nel quale i prezzi sono fissati sul breve periodo, e quindi molto più soggetti ad ondate di volatilità.
Ora ci si chiede quali potranno essere le conseguenze di questo aumento dei prezzi dell’energia sulle prospettive di crescita nel vecchio continente. Per fare qualche ipotesi basta dare un’occhiata ai segnali che l’economia reale ed i mercati finanziari stanno mandando. In Gran Bretagna, uno dei paesi più coinvolti nella crisi energetica, una della più importanti aziende produttrici di fertilizzanti, la CF Industries Holdings Inc., è stata costretta a chiudere due impianti. La mancanza di energia elettrica, sempre nel Regno Unito, sta mettendo a serio rischio la catena del freddo nell’industria alimentare. In Norvegia la società chimica Yara International ASA ha ridotto del 40% la produzione di ammoniaca a causa dei prezzi del gas. In Germania una società come BASF, che produce l’80% dell’energia che consuma, dice che difficilmente riuscirà ad evitare gli effetti negativi dei rincari.
Uno degli strumenti finanziari più osservati nell’Eurozona per valutare l’aspettativa di inflazione degli investitori è il forward inflation swap. Nell’ultima settimana i suoi prezzi sono saliti del 4.1%, massimo dal 2008. Anche osservando il differenziale di rendimento tra i Bund “normali” e quelli indicizzati all’inflazione la conclusione non cambia: quello a due anni ha toccato i massimi dal 2012.
Una tempesta perfetta che rischia, quindi, di ridurre la capacità produttiva ed alimentare l’inflazione, seppur di breve periodo. Ma questa vicenda è anche un monito, l’ennesimo, sulla difficile sostenibilità dell’attuale modello economico. I cambiamenti climatici, per quanto ci si possa augurare che la COP26 sia un successo, saranno attualità almeno per i prossimi 20 anni e renderanno instabile l’apporto di energia di alcune fonti rinnovabili, come il vento e l’acqua. Un problema che si aggiunge a quello legato alla capacità di immagazzinare l’energia “green” prodotta.
Non deve soprendere, quindi, se si torna a parlare di nucleare come possibile soluzione alla carenza di energia. Se l’idea è quella di continuare con l’attuale modello economico basato su una esasperazione dei consumi, allora dovremo accettare anche il nucleare come stampella per mantenere in piedi il carrozzone. L’alternativa è ambiziosa ma complessa e lunga da attuare: introdurre tecnologie in grado di ridurre sempre di più l’utilizzo di energia, incentivare l’economia circolare, ridurre i consumi…
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