Stando a quanto emerge dai mercati, alla luce di quanto accaduto alla SVB, la FED dovrebbe rivedere i suoi piani di politica monetaria . Ma gli ultimi dati sull’inflazione non sono del tutto rassicuranti.
E’ quasi passata una settimana dall’esplosione della Silicon Valley Bank. E col passare dei giorni è emerso un quadro che ha a che fare più con una gestione “allegra” del rischio che non con una minacciosa falla sistemica. Ma nel frattempo il dibattito tra gli analisti si è allargato, ricomprendendo nel calderone della discussione anche le possibile conseguenze della vicenda SVB sulle prossime mosse di politica monetaria della FED. Ad arricchire il quadro sono arrivati, poi, gli ultimi dati sull’inflazione negli Stati Uniti. E non sono del tutto rassicuranti.
Ma andiamo con ordine. Il primo grande pericolo emerso con la repentina dipartita della SVB era quello relativo ad un rischio di contagio. Tanto più che due giorni dopo la banca di Santa Clara, anche la newyorkese Signature Bank ha subito il blocco dell’attività. Così, l’intero settore delle banche regionali statunitensi è crollato a Wall Street sotto i colpi delle vendite a dirotto. Emblematico il caso della First Republic Bank che ha segnato un rotondo -60% in un solo giorno di contrattazioni (con annessa coda finale: l’intervento – come al solito – tardivo delle agenzie di rating).
A distanza di una settimana si può dire che il rischio contagio sembra essere stato sventato dalle autorità statunitensi. La velocità dell’intervento degli organi di vigilanza ed il robusto supporto di liquidità offerto dalla FED alle banche (linee di credito garantite dai titoli in pancia alle banche, e per giunta sul valore nominale dei titoli) hanno, a poco a poco, sgonfiato il caso. L’emergere poi di una gestione del rischio da parte della Silicon Valley Bank ai limiti della sconsideratezza, ha ulteriormente ridotto il campo delle ipotesi e ricondotto la vicenda a caso circoscritto.
Le autorità di vigilanza avranno certamente da fare i conti con un quadro normativo da rivedere. C’è senza dubbio la necessità di inserire parametri più stringenti sui requisiti patrimoniali. Peraltro già previsti dal famoso Dodd-Frank Act ma poi alleggeriti per le piccole e medie banche dal Congresso tra il 2018 ed il 2019, tanto per iniziare a trovare qualche responsabile.
Ma la FED cosa deve fare adesso? Ha senso mettere sullo stesso piatto il caso SVB e l’inflazione? I mercati nei giorni scorsi sembravano scommettere forte sulla possibilità che il board guidato da J Powell si sarebbe fermato di fronte al rischio di una instabilità finanziaria in fieri. Oggi le cose sembrano ancora più complicate. Da un lato altre grane (vecchie) sul fronte bancario (Credit Suisse), dall’altro gli ultimi dati sull’inflazione che non lasciano dormire sonni del tutto tranquilli.
A febbraio, infatti, la salita dei prezzi al consumo ha rallentato ulteriormente, ma scomponendo il dato ci si accorge che l’inflazione dei servizi, anche togliendo l’ingombrante voce dei costi abitativi, continua a crescere. Secondo i calcoli dell’agenzia Bloomberg nel mese di febbraio l’accelerazione è stata dello 0.5% rispetto al mese precedente, il doppio di quanto registrato a gennaio. Cosa significa questo? Considerando che tradizionalmente i prezzi del settore dei servizi sono più vischiosi, il rischio è che la discesa dell’inflazione possa avere tempi lunghi.
Da qui l’idea che la FED, se l’obiettivo è ancora quello di riportare il livello dei prezzi vicino al target del 2%, non dovrebbe lasciarsi distrarre dal caso SVB (et alia) e dovrebbe procedere spedita fino a quel 5.25% che sembra essere il punto di arrivo per i tassi dei FED Funds; adottando una strategia di fine tune (piccoli aggiustamenti in base ai dati macro), e procedendo senza indugio sulla strada oramai tracciata, ma con la cautela necessaria per non far saltare definitivamente i nervi, tesissimi, dei mercati finanziari.
Foto di Arek Socha