Sondaggio Capgemini, imprese tra supply chain e trasformazione

Un sondaggio condotto dalla società Capgemini mostra come le imprese siano ancora preoccupate sul fronte della supply chain e sentano pressante la necessità di trasformazione.

Tra i tanti documenti presentati nel corso del World Economic Forum di Davos, quello elaborato dallo studio ricerche della società Capgemini ha attirato in particolare la nostra attenzione. Al di là delle aspettative sull’andamento dell’economia nei prossimi mesi, dal report della società di consulenza informatica francese emerge, piuttosto riconoscibile, una rotta che le imprese sembrano intenzionate a seguire nel prossimo futuro.

Ma andiamo con ordine. Il report dal titolo “Advancing through headwinds: Where are organizations investing?” è sostanzialmente la presentazione di un sondaggio condotto da Capgemini su un campione di 2000 imprese sparse in 15 paesi diversi. Alle classiche domande sulle aspettative riguardanti l’andamento delle principali variabili macroeconomiche e di profitti aziendali, il sondaggio aggiunge quesiti che riguardano il modello di business, l’organizzazione del lavoro e le prospettive di investimento.

Nel complesso la maggioranza del campione intervistato vede per i prossimi 12-18 mesi una situazione macroeconomica complicata. E la parola che meglio descrive questa aspettativa è stagflazione. Ben il 55% degli intervistati la cita come scenario base per i prossimi 12-18 mesi. Di questa percentuale il 22% ipotizza una combinazione di bassa crescita ed inflazione, mentre per un 28% all’inflazione si accompagnerà anche una fase recessiva. Per un intervistato su tre la recessione avrà effetti deflazionari (farà scendere i prezzi), mentre solo una impresa su cinque considera l’ipotesi che il permanere dell’inflazione non porti ad una recessione. E così, se il 32% delle imprese USA prevede l’entrata in recessione nei prossimi mesi, un 27% dell campione europeo ritiene che la fase recessiva sia già iniziata (percentuale che sale al 32% per l’Italia).

Le aspettative riguardo lo scenario macroeconomico si traducono in previsioni al ribasso per quel che riguarda i profitti aziendali. Il 62% degli intervistati sostiene che un calo degli affari è già in essere, con un 30% di questi che lo considera, al momento, moderato, con settori quali i bancari ed il retail che risultano tra i più colpiti. A preoccupare le imprese, forse un po’ a sorpresa, è ancora la supply chain. Ben l’89% degli intervistati la considera la maggior fonte di rischio nel breve termine, seguita dai prezzi delle materie prime e dalla crisi energetica. Evidentemente gli anni di crisi pandemica bruciano ancora; e talmente tanto che tra i progetti di investimento, quelli legati al miglioramento della supply chain diventano prioritari rispetto alla sostenibilità ed al capitale umano.

La seconda parte del sondaggio di Capgemini ci fa fare un passo avanti. Alla luce del quadro macroeconomico appena descritto, infatti, dal sondaggio traspare un certo ottimismo nella capacità delle imprese di superare questo periodo complicato. Il 42% degli intervistati vede un futuro a colori, positività più accentuata nel Nord America e nell’area dell’Asia sud orientale e del Pacifico; molto meno marcata nella vecchia Europa. Già questo un dato altamente significativo.

Ma l’ottimismo si traduce anche in una decisa volontà di rivedere alcuni aspetti delle proprie organizzazioni, e di indirizzare gli investimenti nelle aree più delicate e vulnerabili del proprio business. Con un occhio alla cassa – il 40% del campione si focalizza sul preservare buoni livelli di liquidità, tagliando i costi o riorganizzandoli – le imprese stanno rivedendo i modelli di organizzazione del lavoro, gli investimenti ma anche il proprio modo di fare business.

Ecco che emerge un dato interessante. Il 68% delle imprese intervistate è pronto a passare entro tre anni ad un modello di business basato sulla cosiddetta “servitization”, vale a dire sulla trasformazione dei prodotti in servizi offerti al cliente (per fare un esempio, l’auto che diventa noleggio a lungo termine). E di pari passo si fa sempre più pressante la necessità di rivedere l’organizzazione del lavoro. Il lavoro ibrido e quello da remoto sono opzioni che la maggioranza degli intervistati ritiene sempre più percorribili. Lavoro flessibile che però rischia di nascondere più di un’insidia. Il sondaggio, infatti, ci suggerische che nel breve termine le imprese non sembrano intenzionate ad aumentare gli investimenti per la formazione, il miglioramento dell’esperienza lavorativa.

Foto di Olexy @Ohurtsov

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