Mercato del lavoro negli Stati Uniti rimane “caldo”, tra Great Recession e Quiet Quitting

Cosa succede al mercato del lavoro negli Stati Uniti? L’economia rallenta ma l’occupazione rimane a livelli record. Secondo un recente studio la risposta è anche nel fenomeno del quiet quitting.

Stando agli ultimi numeri disponibili non si può che concludere che il mercato del lavoro negli Stati Uniti continua ad essere estremamente “caldo”. Il tasso di disoccupazione si mantiene sui minimi da fine anni 60 dello scorso secolo in poi, e sotto a quello che gli economisti ritengono essere il livello di piena occupazione (attorno al 4%). Nelle ultime settimane di gennaio le richieste settimanali di sussidi di disoccupazione sono tornate a scendere, toccando i minimi da metà 2021. Ed anche i sussidi continuativi, indicatore approssimativo della durata della fase di disoccupazione, hanno smesso di crescere dopo un’accelerazione nell’ultima parte dell’anno scorso. Per non parlare, poi, delle offerte di lavoro: nel mese di dicembre ammontavano ancora a più di 10 milioni, con i posti vacanti al di sopra delle 9 milioni di unità, ben distante dalla media storica della statistica (poco più di 5 milioni).

Numeri che parlano da soli, ma che lasciano più di un dubbio agli economisti che se ne occupano. Perchè l’economia statunitense sta comunque rallentando il passo, sotto i colpi delle decisioni FED e dell’inflazione ancora sostenuta. Da più parti si sostiene possibile una fase recessiva entro i prossimi 12 mesi e paradossalmente un mercato del lavoro che non vira al ribasso rischia di diventare a sua volta elemento di incertezza sul futuro prossimo dell’economia a stelle e strisce. Perchè se la domanda rimane poca rispetto all’offerta di lavoro i salari non potranno far altro che salire, alimentando a loro volta l’inflazione e costringendo la banca centrale ad allontanare nel tempo l’ending point della stretta monetaria.

Ma perchè il mercato del lavoro continua ad essere estremamente caldo? Sembra sempre più evidente che la risposta non stia nella qualità della crescita economica ma nella struttura stessa del mercato del lavoro. Andando a spulciare i dati pubblicati qualche settimana fa dall’Economist e leggendo l’interessante studio di due ricercatori della Washington University di St. Louis, pubblicato dal NBER, si giunge ad una conclusione piuttosto netta: il problema è un calo nel numero dei lavoratori statunitensi e delle ore lavoro per occupato.

Un calo che interessa soprattutto le fasce di lavoratori più anziani e quelle con redditi più alti. Dal 2019 ad oggi la popolazione statunitense con almeno 65 anni è aumentata dell’1% ed il tasso di partecipazione di questa fascia di lavoratori è sceso dal 20.7% del 2020 al 19.3%, stesso livello del 2016. E la pandemia ha chiaramente influito su tutto questo, scatenando quel fenomeno a cui si è dato il nome di Great Resignation.

Ma si diceva che anche tra le fasce di reddito più alte qualcosa si è modificato. Lo studio pubblicato dal NBER ha provato ad indagare quel fenomeno denominato quiet quitting, una tendenza alla riduzione delle ore passate al lavoro. Stando ai dati raccolti da Dain Lee, Yongseok Shin e Jinhyeok Park la diminuzione di ore lavoro per occupato nel periodo 2019-2022 si è concentrata soprattuto tra lavoratori maschi, con livello di educazione superiore e stipendio medio alto. E la decisione di ridurre le ore di lavoro settimanali è stata nella maggior parte dei casi una scelta volontaria, cambiando posto di lavoro ed abbracciando offerte che garantissero maggior flessibilità.

Great Recession e Quiet Quitting, due fenomeni che stanno modificando in maniera sostanziale il mercato del lavoro statunitense e che rappresentano una nuova variabile da prendere in considerazione nelle scelte di politica monetaria e fiscale.

Foto di Pexels

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