COP27, finale tra delusione e realismo

Nel risultato finale della COP27 di Sharm el-Sheikh in molti hanno letto un passo indietro rispetto a Glasgow, ma tra la delusione sembra farsi spazio un metodo di lavoro più improntato al realismo. E potrebbe non essere una cattiva notizia.

La COP27 di Sharm el-Sheikh è andata in archivio con l’oramai consueto tempo supplementare necessario per arrivare ad un documento finale, e con una diffusa sensazione di delusione per quanto raggiunto dai paesi partecipanti. Se però proviamo a guardare il tutto con un occhio più allenato al bicchiere mezzo pieno, non sfugge un cambiamento di paradigma nell’approccio delle delegazioni. Forse, e occorre sottolineare molte volte il forse, si sta facendo strada una linea di realismo capace, se ben utilizzato, di portare finalmente a risultati concreti.

La situazione alla vigilia della COP27 era piuttosto chiara. Come avevamo scritto, tutto girava attorno ai contributi economici richiesti dai paesi in via di sviluppo, i più esposti alle conseguenze del cambiamento climatico, ai paesi più ricchi. La questione del loss and demage ha monopolizzato la conferenza che si è conclusa con lo storico impegno di attivare un fondo dedicato presso le Nazioni Unite. Una decisione molto distante dai desiderata dei paesi ricchi (che preferivano supporti a progetti al posto di denaro contante), ma che prova almeno a restringere il cerchio dei potenziali beneficiari (togliendo dal novero paesi capaci di sostenersi con le proprie gambe). Un compromesso, l’ennesimo si dirà, ma anche il massimo del realismo, che rallenta il percorso disegnato a Glasgow sul fronte della riduzione delle emissioni ma che al tempo stesso ha la potenzialità di togliere dal tavolo – si spera definitivamente – uno dei maggiori ostacoli all’azione dei paesi più inquinanti, vale a dire la mancanza di risorse.

A latere di tutto questo va comunque ricordato che a Sharm el-Sheikh si sono riallacciati i rapporti tra USA e Cina, non due paesi di poco conto nel bilancio delle emissioni nocive in atmosfera; un altro salutare atto di realismo, vale a dire la necessità di includere Pechino in questa partita. Inoltre, il numero di paesi che hanno sottoscritto l’impegno alla riduzione di emissioni di metano è arrivato a 130, ed anche la Cina (pur non aderendo) ha annunciato un piano per frenare le emissioni di gas naturale.

Il punto dolente rimane quello dell’energia fossile. Qui i risultati sono davvero pochi. Il gruppo di paesi che chiede un impegno per il progressivo abbandono delle fonti fossili aumenta (80), ma nel documento finale non ce n’è traccia. La prossima COP che si terra a casa di uno dei maggiori paesi produttori di petrolio (gli Emirati Arabi Uniti) non lascia certo sperare in una accelerazione.

Illustrazione di Jensen Art

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