La nuova sfida dell’Europa: -90% di emissioni entro il 2040

Mentre lunghe file di trattori invadono le strade delle principali capitali europee, la Commissione Europea svela il nuovo piano per affrontare la sfida del cambiamento climatico. L’obiettivo? Ridurre le emissioni inquinanti del 90% entro il 2040.

La protesta degli agricoltori che in queste settimane hanno invaso con i loro trattori le strade delle principali capitali europee, rappresenta la punta dell’iceberg di un tema complesso e potenzialmente decisivo per le sorti dell’economia del vecchio continente da qui a fine secolo. Un tema che intreccia al suo interno la sfida della transizione ecologica, la competitività delle aziende europee e la sopravvivenza di interi settori, come quello dell’agricoltura.

Mentre i grandi “inquinatori” del pianeta procedono a tappe rallentate sulla via della decarbonizzazione delle proprie economie, l’Unione Europea sembra essersi assunta l’impegno morale di guidare il mondo verso la nuova era della green economy. Per qualcuno si tratta di una fuga in avanti che rischia di mettere gambe all’aria interi settori dell’economia, per altri è l’unico modo con il quale l’Europa può riconquistare una competitivitò tecnologica ed economica rispetto alle rampanti economie che da occidente ad oriente la insidiano.

L’ultimo tassello di questo percorso è stato posizionato nei giorni scorsi con l’annuncio di una nuova road map che dovrebbe portare i paesi dell’Europa a ridurre del 90% le emissioni inquinanti in atmosfera entro il 2040. Uno sforzo “raccomandato” che si aggiunge ai due già programmati da tempo: la riduzione del 55% delle emissioni entro il 2030 (ed i numeri al momento dicono che non stiamo andando benissimo); la riduzione a zero delle emissioni inquinanti entro la metà del secolo.

Alla base dell’ambizioso piano della Commissione Europea – piano che verrà lasciato in eredità alla nuova Commissione, quella che nascerà all’indomani delle elezioni del giugno prossimo -ci sono due obiettivi principali: accelerare la riduzione della dipendenza dall’energia fossile (e di conseguenza dai fornitori esterni); aumentare la spinta sulla ricerca tecnologica nel tentativo, da un lato di recuperare il terreno perduto nei confronti di player come la Cina (batterie, solare, eolico), dall’altro di spingere su strade ancora poco battute come la cattura della CO2, o rispolverare fonti di energia “divisive” come il nucleare.

Si tratta, come detto, di un piano molto ambizioso, ma anche pieno di criticità e che prevede investimenti nell’ordine degli 1,5 trilioni di euro all’anno dal 2031 al 2050. A fronte di un così massiccio carico di denaro investito – anche se non è molto chiaro da dove verrà reperito – il piano stima un ritorno, in termini di risparmi di spesa in energia fossile – pari a 2.9 trilioni di euro entro il 2050.

Foto di Emilian Robert Vicol

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