Il cambiamento climatico colpisce un altro canale, quello di Panama

Mentre l’attenzione degli analisti si concentra sulla sempre più spinosa questione mediorientale, le cui propaggini coinvolgono anche il traffico merci nel Mar Rosso e nel canale di Suez, un’altra spia rossa si è accesa sul planisfero: è quella relativa alla situazione del canale di Panama.

A parlarne diffusamente nei giorni scorsi è stato un bel reportage curato dalla statunitense Bloomberg (nella sezione Quick Take). Si tratta di una storia che intreccia tematiche importanti e tremendamente attuali: i cambiamenti climatici, la carenza infrastrutturale e le ripercussioni sui prezzi delle merci.

Cosa sta succedendo al canale di Panama? In parole molto semplici la ridotta quantità di acqua presente nei canali e nei laghi che compongono la porta d’accesso dal Pacifico all’Atlantico sta riducendo i passaggi giornalieri di navi. Il livello delle acque è talmente calato che in alcuni punti è addirittura possibile veder affiorare i resti delle foreste allagate più di un secolo fa per la costruzione del canale.

In numeri la situazione è ancora più chiara. Con il livello medio dell’acqua sceso di quasi due metri sotto la norma a causa delle scarse precipitazioni, l’accesso al canale è stato limitato a 24 navi al giorno; record dal lontano 1989 (allora fu l’intervento militare statunitense contro Noriega a bloccare le attività dell’infrastruttura), contro le 38 normalmente previste.

Si tratta di un problema non di poco conto, basti pensare che il 46% dei container che dall’Asia muovono verso le coste orientali degli USA passa da Panama; e che il canale fa transitare ogni anno 270 miliardi di dollari di merci. Attualmente le soluzioni alternative sono o la prosecuzione verso nord, attraccando nei grandi porti USA del Pacifico; o scendere verso sud circumnavigando l’America Latina. Le conseguenze sono ovvie: ritardi nelle consegne; riduzione dei container disponibili; aumento delle spese di nolo e di spedizione. Tutti effetti che possono ripercuotersi sui prezzi finali, alimentando nuove spinte inflazionistiche.

Le soluzioni nel breve termine sono poche e la speranza è che il surriscaldamento delle acque oceaniche conosciuto come El Niño smorzi i suoi effetti entro marzo, consentendo un ritorno delle piogge in grado di rifornire i laghi che attualmente mantengono in vita il canale. Nel lungo termine si pensa a nuove infrastrutture (una diga sul vicino fiume Indo ed un tunnel di 8 km che porti l’acqua al canale) ma i dubbi circa l’impatto sull’ambiente e sull’economia locale sono tutto da considerare.

Foto di Steve Barker

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