La nuova falla nella tribolata situazione geopolitica internazionale, la crisi nel Mar Rosso con le navi cargo attaccate dai ribelli Houthi, rischia di generare ulteriori guai sul fronte macroeconomico via inflazione ed un nuovo rallentamento della supply chain.
Che si stia vivendo in un tempo complicato è cosa oramai assodata, ma l’attualità sembra non mancare un giorno nel ricordarcelo. Del resto era facile ipotizzare che un improvviso spiffero di vento su un fragilissimo equilibrio geopolitico avrebbe riacceso alcuni dei tizzoni nascosti sotto la cenere. E se poi una di queste fiammelle si riaccende in quel quadrante che chiamiamo Medio Oriente, allora la situazione diventa ancora più delicata.
Su queste premesse è scoppiata da alcune settimane la crisi del Mar Rosso, dove un gruppo di ribelli yemeniti, gli Houthi, sostenuti dall’Iran, ha iniziato a prendere di mira le navi cargo che fanno la spola dai porti dell’Asia a quelli europei e che hanno una qualche relazione con Israele. La maggior parte degli attacchi è finora avvenuta nei pressi di Bab al-Mandab, la “porta” che dall’Oceano Indiano conduce al Mar Rosso. In questa escalation di attacchi non si registrano al momento affondamenti o sequestri portati a termine, ma molte navi hanno riportato danni. Circostanza, questa, che ha di fatto costretto le grandi compagnie di trasporto marittimo a cambiare rotta, puntando verso est e navigando lungo la tortuosa via che segue le coste dell’Africa occidentale.
A livello economico la sospensione della rotta del Mar Rosso, che ricordiamo collega i porti asiatici al Mar Mediterraneo attraverso il canale di Suez, rischia di spargere nuova sabbia tra gli ingranaggi della supply chain e di dare nuova linfa alla spinta inflazionistica che si stava pian piano indebolendo.
Le primissime conseguenze di questa crisi sono facilmente intuibili: ritardi nelle consegne delle merci, riduzione dei container e dei cargo disponibili al trasporto, aumento delle tariffe di spedizione ed infine il passaggio dei maggiori costi di trasporto ai consumatori finali.
L’importanza dei numeri del traffico merci che attraversa il canale di Suez abbiamo avuto modo di sottolinearla in occasione dell’incagliamento della super nave cargo “Ever Given”, avvenuto qualche anno fa. Basta solo ricordare che quella rotta rappresenta il 12% del traffico merci globale, ed il 30% del traffico di container globale. Il tutto per un valore annuale di circa un trilione di dollari: 80 milioni di tonnellate di grano all’anno, 7 milioni di barili di greggio al giorno (fonte dato: Bloomberg). Il traffico di greggio attraverso il canale di Suez è praticamente raddoppiato dopo l’invasione russa dell’Ucraina.
Proprio sul fronte dell’energia si sono verificati i primi contraccolpi. Il prezzo del gas naturale e quello del petrolio hanno subito accelerato al rialzo, con ricadute già avvertite sui prezzi dei carburanti. L’effetto sui prezzi, e quindi sull’inflazione, dipenderà molto dalla durata della crisi del Mar Rosso e dalle garanzie che gli armatori pretenderanno per riprendere a solcare la via che porta a Suez.
L’altro rischio in campo economico riguarda una nuova crisi della supply chain globale. Il citato caso della nave Ever Given, risolto in meno di una settimana, portò in dote scompensi nelle consegne per diversi mesi. Nel caso degli attacchi da parte degli Houthi la situazione è molto più complicata e potrebbe durare molto a lungo.
A farne le spese in primo luogo potrebbe essere ancora una volta l’Europa. Con l’Eurozona che sconta una situazione macroeconomica delicatissima e la banca centrale con poche munizioni al rialzo, una nuova fiammata dei prezzi dell’energia potrebbe essere difficilmente gestibile; con lo spauracchio stagflazione che ritorna ancora una volta.
Foto di Asterixa