Gli effetti economici dei cambiamenti climatici non incidono solo sul settore privato ma possono avere un impatto consistente anche sui conti pubblici. Un recente studio ha provato ad eseguire uno stress test per un panel di paesi europei.
Se ancora servissero prove, il periodo delle festività natalizie ne ha aggiunte almeno altre due all’oramai pesante faldone con la scritta “cambiamenti climatici”. L’ondata di gelo senza precedenti che ha spazzato il nord America, e le temperature più che miti registrate nelle principali capitali europee a cavallo dei cenoni, ci hanno ricordato come la velocità con la quale il clima del nostro pianeta sta cambiando sia in costante accelerazione.
Cosa significhi tutto ciò per l’attività economica è facile da intuire. Nelle regioni del nord Italia, ad esempio, il repentino scioglimento della neve caduta ad inizio dicembre scorso sta facendo venir meno importanti riserve idriche per l’estate, ed in molte zone le falde acquifere ristagnano sui livelli minimi. Per l’agricoltura, se lo scenario non cambia, tutto ciò significherà minor produzione e di conseguenza minori redditi. Ma non è solo il settore primario ad essere a rischio. Tutta la filiera economica traballa, fragile, sulle possibili conseguenze di fenomeni atmosferici estremi. Ed assieme al settore privato, con i cambiamenti climatici, traballano anche i conti pubblici. Non un problema da poco, anche considerando l’attuale situazione finanziaria globale.
Tre economisti – Nicola Gagliardi, Stéphanie Pamies e Pedro Arévalo Sánchez – hanno recentemente provato a costruire uno stress test per un panel di paesi europei con l’obiettivo di stimare l’impatto sul rapporto debito/pil del verificarsi di eventi atmosferici estremi con orizzonte temporale a 20 anni, nel 2032.
Lo studio, pubblicato dal CEPR, parte dall’analisi dei disastri causati dagli eventi atmosferici accaduti in Europa nel periodo 1980-2020. Quarant’anni nei quali, calcolano i tre economisti, l’impatto (negativo) medio sul PIL dei fenomeni estremi è stato dello 0.1% all’anno, con i paesi dell’area centro orientale e mediterranea ad avere le conseguenze più significative. I cinque paesi più colpiti sono stati la Germania, la Francia, l’Italia, la Spagna e la Romania e non sfugge che le prime tre nazioni citate corrispondono anche alle prime tre economie dell’area.
Proiettando nei prossimi 20 anni i dati raccolti sulla frequenza e l’intensità dei fenomeni climatici estremi, ed integrandoli con le proiezioni dei due scenari di surriscaldamento a fine secolo a +1.5°C e +2° C, lo studio condotto da Gagliardi e colleghi ci restituisce il potenziale impatto sul rapporto debito/PIL per le principali economie europee. Il risultato è un aumento medio dell’impatto del debito sul PIL pari a 5 punti percentuali al 2032, con effetti che i ricercatori considerano persistenti nel tempo. I canali attraverso i quali gli effetti dei cambiamenti climatici si trasmettono ai conti pubblici sono essenzialmente due: un aumento della spesa pubblica unito ad una riduzione delle entrate fiscali; un effetto sui consumi e sulla produzione che incide negativamente sul PIL.
Il cambiamento climatico non può certo essere fermato per decreto e l’unica strada che ad oggi sembra percorribile è quella dell’adattamento alle nuove condizioni. Investire nella mitigazione degli effetti degli eventi climatici avversi è uno degli esempio di spesa produttiva di cui i nostri paesi hanno un estremo bisogno, l’alternativa sono bilanci pubblici più fragili con tutte le conseguenze del caso.
Foto di Linda Russ