Cambiamenti climatici e disinformazione, una storia lunga decenni

Il ritardo nella risposta ai cambiamenti climatici deriva anche da una persistente campagna di disinformazione. Ma i negazionisti di oggi sono solo l’ultimo anello di una catena molto lunga.

Ben Franta è un avvocato statunitense e ricercatore alla Stanford University che si occupa da molto tempo di cambiamenti climatici e disinformazione. In un suo contributo pubblicato su theconversation.com, Franta ricorda un episodio legato allo scienziato statunitense Edward Teller. Nel corso di una conferenza organizzata alla Columbia University, Teller parlò dei rischi connessi all’aumento delle emissioni di gas nell’atmosfera e delle conseguenze del surriscaldamento sul livello dei mari. Piccolo particolare: era il 1959 e la platea che ascoltava Teller era composta in larga parte da dirigenti di aziende petrolifere.

A quel primo segnale di fumo, ricorda sempre Franta, ne seguirono altri nel corso dei decenni, tutti inascoltati o forse no, visto che molte società, racconta l’autore, crearono strutture di ricerca interne per approfondire, nella massima discrezione, il tema delle emissioni di CO2 nell’atmosfera.

Fa ancora più riflettere la famosa vicenda del “Victory Memo” pubblicata sul New York Times. Era il 1998, e all’indomani della conferenza internazionale sul clima di Kyoto, l’American Petroleum Institute scriveva una nota nella quale si tracciava la strategia per rispondere all’accusa di essere uno dei principali responsabili dell’aumento delle emissioni di gas serra. In questa nota si legge una frase agghiacciante: “la vittoria sarà raggiunta quando i cittadini medi “capiranno” (riconosceranno) le incertezze nella scienza del clima… fino a quando il “cambiamento climatico” non diventerà un non-problema… potrebbe non esserci alcun momento in cui possiamo dichiarare la vittoria”.

Naomi Oreskes, autrice del libro “Mercanti di dubbi” ed in prima fila nella lotta alla disinformazione scientifica, ricorda come veniamo da decenni nei quali una strategia di comunicazione deliberatamente contro la scienza ha instillato in una larga fetta di popolazione quel dubbio che molto spesso non arriva dalla ragione ma dalla pancia, e per questo motivo ancora più profondo e radicato.

La realtà di questi ultimi anni, con fenomeni climatici sempre più estremi e sempre più frequenti, ha modificato le cose facendo emergere l’unico elemento in grado di cambiare le carte in tavola: la perdita di profitti. Da qui la corsa al cambiamento di strategia e l’avvio di una linea di comunicazione “green”. Ma nel frattempo i danni di una strategia della disinformazione scientifica si fanno sentire e finchè a qualcuno converrà che questa riserva di negazionismo esista dovremo conviverci, se ne avremo il tempo.

Foto di PublicDomainPictures

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