La nuova guerra delle valute: esportare inflazione per liberarsene

Con le principali bance centrali impegnate a combattere l’ondata di inflazione pare iniziata una nuova guerra delle valute, e questa volta la corsa è al rialzo.

Il generale prussiano Carl von Clausewitz riteneva che la guerra non fosse altro che la continuazione, con altri mezzi, della politica. Un’affermazione che se volessimo traslare sul piano economico potremmo benissimo utilizzare per descrivere quanto sta accadendo sul fronte della politica monetaria in questi mesi. E cioè che la guerra (delle valute) è la continuazione della politica (monetaria).

Di cosa stiamo parlando? Come sanno oramai anche i sassi il grande problema macroeconomico del momento è l’inflazione cresciuta eccessivamente nel dopo pandemia, e un’inflazione troppo alta è un bel problema per un’economia. Il premio nobel Milton Friedman diceva che a conti fatti l’aumento dei prezzi è un fenomeno monetario e che regolando la quantità di moneta presente nel sistema si “aggiusta” anche il livello di inflazione (facciamola semplice). Lo strumento principe per combattere l’inflazione sono i tassi di interesse. Il loro aumento tende a ridurre la domanda e di conseguenza “costringe” l’offerta ad adeguarsi riducendo i prezzi di vendita (continuamo a farla molto semplice). Ma agire sui tassi di interesse significa anche modificare i rapporti di forza tra la valuta domestica e quelle estere. Per finire la trilogia del “farla semplice” possiamo dire che l’aumento dei tassi tende a rivalutare la moneta locale rispetto a quelle estere perchè i capitali vengono attratti da remunerazioni più sostanziose e quindi si compra moneta locale e si vende moneta estera.

Per non indispettire l’anima di Carl von Clausewitz veniamo al dunque. Quello che molti analisti suggeriscono è che per difendere i propri cittadini dall’aumento dell’inflazione le bance centrali stiano entrando in una vera e propria guerra delle valute e che, più nello specifico, la corsa al rialzo dei tassi da parte della FED non stia facendo altro se non esportare dagli USA inflazione nel resto del mondo, scatenando la controffensiva delle altre banche centrali. Michael Cahill, di Goldman Sachs, ha ammesso a Bloomberg Businessweek di non ricordare un periodo storico nel quale così tante banche centrali, nello stesso momento, si siano focalizzate sulla necessità di dare forza alla propria valuta di riferimento. Una guerra delle valute fatta per gettare fuori dalla finestra il problema dell’inflazione, e che si combatte a colpi di rialzi (l’ultimo in ordine di tempo il roboante +50bps della BCE a cui domani risponderà la FED). Tutto ciò rappresenta esattamente il contrario di quanto fatto negli ultimi decenni, quando svalutare (e quindi lasciar indebolire la propria valuta) era l’opzione migliore per sostenere la crescita delle proprie economie.

Il problema è che storicamente le guerre delle valute non hanno alla fine dei conti mai avuto dei vincitori, finendo invece per penalizzare i settori orientati all’export, i conti delle multinazionali e, alla fine della fiera, di alimentare l’inflazione anzichè ridurla.

Foto di PublicDomainPictures

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