Alle banche centrali, ora, restano solo le maniere forti

Le banche centrali dopo aver sostenuto a lungo la tesi della transitorietà dell’aumento dei prezzi sono ora costrette ad usare le maniere forti per ripristinare, in primis, la loro credibilità. Ma è forse troppo ingeneroso parlare di errori.

In questi giorni non può non tornare alla mente la conferenza stampa nella quale il governatore della FED di Atlanta, Raphael Bostic, inseriva una monetina nel salvadanaio, in segno di autopunizione, ogni qual volta gli scappava un “transitoria” parlando di inflazione. Qualla parolina, transitoria appunto, sta ora costando molto più di qualche monetina alle banche centrali e non solo a loro.

Lo S&P500 in settimana ha superato la fatidica soglia del 20% di calo rispetto al massimo registrato il 3 gennaio scorso. Questo tecnicamente significa entrata del mercato nella fase orso, un periodo di ribassi che in genere significa recessione in arrivo per l’economia reale. Negli USA si comincia a ragionare sulle conseguenze di questo capitombolo azionario. Dall’Economic Policy Institute arrivano parole preoccupate per la questione fondi pensione, mentre sul fronte della liquidità alcuni indicatori segnalano primi elementi di stress.

Ma il costo più alto le banche centrali rischiano di pagarlo su un tema delicatissimo: la credibilità. Ed è la credibilità, in primis, a tenere sotto controllo le aspettative di inflazione di lungo termine e se questa viene meno non restano che le maniere forti. E indizi di una perdità di credibilità ce ne sono. L’ultimo sondaggio sulla fiducia dei consumatori elaborato dall’università del Michigan registra un aumento considerevole delle aspettative di inflazione a 5 anni. Un 3.3% che rappresenta il massimo dal 2008. Altri sondaggi rincarano la dose. Quello di Gallupp dice che solo il 47% degli intervistati ritiene che Powell stia facendo le scelte giuste per l’economia USA. Le cose non vanno meglio in Gran Bretagna, qui un sondaggio BoE rileva un certo malcontento dei cittadini sul modo nel quale la banca centrale si è presa cura della stabilità dei prezzi. In Giappone, per finire la carrellata, un sondaggio rileva che per il 59% degli intervistati il governatore della BoJ, Haruhiko Kuroda, è inadatto a guidare l’istituto centrale.

In tutto questo è scattata la più tradizionale delle operazioni: la caccia al colpevole. Così i governatori delle principali banche centrali sono stati fatti accomodare sul banco degli imputati colpevoli, secondo l’accusa, di aver aspettato troppo crogiolandosi su una transitorietà del rialzo dei prezzi che non era così transitoria. In parte è davvero così. Specie per quel che riguarda la Fed non si capisce molto il motivo per cui il rientro dal QE pandemico è stato attivato così tardi. Ma è anche vero che l’assoluta novità del momento storico nel quale si sono trovati ad operare gli istituti centrali basta e avanza per formulare tutte le attenuanti del caso. Alla fine la risposta dei board è stata l’unica possibile: dimostrare di essere in grado di riprendere le redini dei prezzi. Dimostrare la propria autorità.

In questo senso l’unica possibile via d’uscita per le banche centrali è utilizzare le maniere forti – leggasi rialzare i tassi in maniera robusta – e continuare ad utilizzarle, senza incertezze, fino a che qualcosa non inizierà a cambiare, costi quel che costi (o quasi). Ma siamo sicuri che la situazione dipenda proprio tutta dalle scelte della politica monetaria? Non stiamo forse, e ancora una volta, addossando alle banche centrali anche responsabilità che non hanno? Detta in altri termini: non dovrebbe forse anche qualcun’altro inziare a farsi delle domande e ad agire di conseguenza?

Foto di pedrik

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