Il long covid nell’economia, tra isteresi e zombie firms

Può esistere una sindrome da long covid anche per l’economia? Se lo sono chiesti due ricercatori di Aberdeen Standard Investments. Nel loro studio emergono diversi canali attraverso i quali la pandemia può incidere sulla crescita di lungo periodo.

Sui giornali si sente spesso parlare di long covid. Si tratta di un termine utilizzato in campo medico per indicare una serie di disturbi che accompagnano le persone che hanno contratto il virus SARS-COV2 per un arco di tempo molto lungo, mesi o forse anni, su questo la ricerca è ancora impegnata a fare luce. Ma anche sul fronte economico si comincia a parlare di effetti di lungo periodo, fenomeni e distorsioni che potrebbero accompagnare le economie mondiali nei prossimi anni, con conseguenze incerte sulla loro capacità di crescita. Può esistere una sindrome da long covid anche per l’economia?

Recentemente l’Office for Budget Responsibility, la “commissione finanze” del parlamento inglese, ha sottolineato come il PIL del Regno Unito sia destinato a rimanere al di sotto della traiettoria pre-pandemia di 3 punti percentuali nel lungo periodo. Negli USA un recente paper della Federal Reserve di San Francisco, curato da John Fernald e Huiyu Li, stima che la crescita dell’economia americana, su un orizzonte di 5-10 anni, sarà di un punto e mezzo percentuale più bassa rispetto alle stime pre-pandemia.

Una crescita di lungo periodo più bassa ha profonde ricadute sulle altre fondamentali variabili macroeconomiche: l’occupazione e l’inflazione. Per questo motivo individuare i meccanismi attraverso i quali la pandemia può indebolire la crescita è fondamentale per mettere in atto politiche fiscali e monetarie tali da minimizzarne gli effetti.

Luke Bartholomew e Paul Diggle, di Aberdeen Standard Investments, hanno individuato una serie di canali attraverso i quali la crisi pandemica agisce sulla crescita di lungo periodo e ne hanno stimato un primo impatto a livello globale.

Nel loro report, pubblicato dal CEPR, vengono citati elementi che riguardano il mercato del lavoro, la propensione al consumo ed agli investimenti, il fenomeno delle zombie firms, fino al rischio di errori di politica fiscale e monetaria.

Sul fronte del lavoro i due autori sottolineano come il gap educativo accumulato in questo anno e mezzo di pandemia, unito ad un aumento degli episodi di disoccupazione, possa portare ad un incremento dell’isteresi, fenomeno in grado di ridurre sistematicamente le potenzialità di crescita di una economia. L’esperienza della pandemia può avere effetti anche sui comportamenti di imprese e consumatori. In particolare può scattare un fenomeno che gli economisti chiamano “belief scarring“, in grando di ridurre la propensione al consumo delle famiglie ed instillare maggiori dubbi nelle imprese sul fronte degli investimenti. Infine, altro canale propizio per la diffusione degli effetti negativi di lungo periodo della pandemia, la politica monetaria ultra espansiva può esacerbare il fenomeno delle zombie firms, società decotte dal punto di vista produttivo e dell’innovazione, ma tenute in piedi da finanziamenti a basso costo o da politiche fiscali di aiuto.

La simulazione condotta da Bartholomew e Diggle tenendo conto di tutti questi fattori, porta i due autori ad individuare uno scenario centrale con un PIL globale inferiore del 3% rispetto alla traiettoria pre-pandemia sul lungo periodo. Un “danno” inferiore rispetto a quello arrecato dalla crisi finanziari del 2008 e distribuito disomogeneamente tra le varie economie. Con USA e Cina meno colpite, mentre Eurozona, Brasile e India – non a caso aree geografiche severamente colpite dalle ondate pandemiche – con strascichi ben più pesanti.

Foto di Engin Akyurt

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