Zombie Firms. Quando i tassi bassi generano mostri

Le Zombie Firms, vale a dire società caratterizzate da una bassa profittabilità, tale da non sostenere gli oneri derivanti dal ricorso al debito, sono in costante aumento. Secondo recenti studi, si tratterebbe di un effetto collaterale delle politiche monetarie ultra espansive, con risvolti negativi su tutto il sistema economico.

A studiare lo strano fenomeno delle Zombie Firms si è iniziato nel 2008. Da allora l’interesse per queste società è cresciuto, e molto, soprattutto per le conseguenze che la loro proliferazione può avere sulla produttività del sistema economico.

Le Zombie Firms non sono altro che società caratterizzate da una bassa profittabilità per un periodo di tempo esteso. Una situazione che non consente loro di coprire per intero i costi del debito (Interest Coverage Ratio, ICR, inferiore a 1 per almeno 3 esercizi). Si tratta di società con una “anzianità” superiore ai 10 anni e che, secondo una definizione più restrittiva, presentano prospettive di profitto basse anche per il futuro (misurate attraverso la q di Tobin).

Secondo diversi studi, e da ultimo quello della BIS (Bank for International Settlements), il numero di società che rispettano i criteri appena citati è in crescita, quasi costante, dal 1980 ad oggi. Con una forte accelerazione dai primi anni del nuovo secolo. Secondo lo studio condotto da Ryan Banerjee e Boris Hoffman nel 2018, su dati raccolti in 14 economie avanzate, la quota di aziende zombie è passata dal 2% della fine degli anni 80 al 12% del 2016. Non solo, nello stesso periodo di tempo è aumentata anche la durata dello stadio “morti viventi”. Un’azienda caratterizzata da bassa profittabilità ha maggiori probabilità, oggi rispetto al 1980, di rimanere nella stessa situazione anche l’anno successivo.

Perchè queste aziende sopravvivono? Cosa le tiene in vita? In un primo momento si pensava che la loro “linfa” fossero le banche in difficoltà. Queste, piuttosto che stralciare i loro crediti nei confronti degli zombie, avrebbero avuto un inventivo, in termini di bilancio, ad allungare la vita al debitore. Negli anni, però, è salita alla ribalta un’altra possibile causa: i bassi tassi di interesse.

Una politica monetaria ultraespansiva, se esercitata per un lungo periodo, può avere un effetto “analgesico” sul rischio percepito dagli investitori, spingendoli ad impegnare denaro in società più rischiose, come lo sono le zombie firms. Un’asticella del rischio posta un po’ più su, “normalizza” queste società, abbassando le pressioni sulla situazione finanziaria e permettendo loro di sopravvivere. Lo studio condotto dalla BIS dimostra come una politica monetaria espansiva sia correlata positivamente alla crescita delle zombie firms, specie nei settori a più alto utilizzo della leva finanziaria.

A sopravvivenza garantita, queste aziende continuano a comportarsi come “morti viventi”, con bassa profittabilità presente e futura; e gli effetti della loro presenza si propagano nel sistema. Spesso e volentieri queste aziende adottano politiche di prezzo aggressive, offrono salari più alti ed accettano oneri finanziari più elevati per accaparrarsi – e sperperare – risorse. Il tutto a svantaggio dei competitors “sani” e della produttività generale del sistema economico (il cosiddetto effetto congestione). Ancora una volta gli studi condotti dalla BIS sono significativi. Un aumento dell’1% della percentuale di zombie tra le aziende può generare un calo della produttività generale dello 0,3%.

Il passo successivo è chiedersi se, sul lungo periodo, un aumento della percentuale di zombie non produca un effetto recessivo sull’economia, costringendo le banche centrali ad ulteriori politiche espansive e generando un circolo vizioso. Su questo non vi sono, al momento, evidenze.

Foto di Simon Wijers da Pixabay

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