Si va verso una jobless recovery?

Analizzando i sondaggi PMI di giugno emerge chiaramente come la componente occupazionale rimanga ancora orientata al ribasso. C’è forse il rischio di una jobless recovery? Una ripresa economica senza impatto positivo sull’occupazione?

I sondaggi PMI di giugno, che in questi giorni abbiamo avuto modo di commentare con la nostra K Briefing, ci parlano di un settore privato in ripresa, con gli ordinativi e la produzione che tornano a salire e le aspettative sul futuro dell’economia orientate all’ottimismo. Ma i sondaggi, in generale, non dicono solo questo. Delle varie componenti del PMI, quella relativa all’occupazione continua, seppur a ritmi più blandi, ad essere orientata negativamente.

Per il momento la reale situazione dell’occupazione rimane congelata. In Europa, come ricordavamo qualche giorno fa, una considerevole percentuale di lavoratori è attualmente sotto protezione statale. Negli USA, come continua a sottolineare il Peterson Institute of International Economics, il conto ufficiale dei disoccupati continua a non considerare una vasta platea di lavoratori (il tasso di disoccupazione realistico è due punti percentuali sopra a quello ufficiale di giugno). In molti altri paesi, schemi di sostegno pubblico al reddito stanno coprendo i veri numeri del mercato del lavoro.

Ma cosa succederà quando i governi chiuderanno i programmi di protezione straordinaria? Purtroppo sembra facile prevedere un massiccio ricorso ai licenziamenti. Lo sosteneva uno studio di Allianz di cui abbiamo scritto qui. Ma indizi arrivano da molte parti. Un sondaggio condotto da Opinion e dal Think Tank Bright Blue, ci dice che quasi la metà delle aziende inglesi prevede di ricorrere ai licenziamenti una volta terminati i sussidi statali (ad ottobre per il Regno Unito). Un’intenzione che sembra più convinta soprattutto tra le aziende di medio/piccola dimensione.

Ma sarà davvero una jobless recovery? Nel breve periodo sembra una possibilità tutt’altro che remota. La pandemia sta accelerando alcuni passaggi tecnologici che rischiano di spazzare via per sempre molte professionalità. Il tutto per far posto ad altre professioni, certo, ma per questo ci vorrà tempo. In uno studio pubblicato dal CEPR, David Popp, Francesco Vona e Joëlle Noailly suggeriscono che la svolta green che molti governi stanno immaginando di dare alle proprie economie, avrà sicuramente un impatto positivo sul mercato del lavoro, ma solo in un orizzonte temporale lungo. Nel breve, scrivono gli autori dello studio, gli effetti degli investimenti sostenibili non hanno impatti significativi sulla ripresa economica e quindi sui posti di lavoro.

Prendere atto del cambiamento che la crisi, scatenata dalla pandemia, porterà nel mercato del lavoro è fondamentale per poterlo affrontare con gli strumenti corretti. Sempre Popp ed i suoi colleghi ricordano come sia necessario creare strumenti di transizione, capaci di accompagnare i lavoratori dalla vecchia alla nuova economia. Ed accompagnare significa puntare in primis sull’educazione delle nuove generazioni, ma anche sulla formazione e la riqualificazione dell’attuale forza lavoro (quello che in inglese viene chiamato retraining).

Foto di athree23

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