Sui mercati finanziari internazionali girano qualcosa come 17 trilioni di dollari di prestiti obbligazionari con rendimento negativo. A dicembre del 2018 erano 9 trilioni, solo da luglio di quest’anno l’aumento è stato del 18%. Una vera e propria carica dei rendimenti negativi.
Come si spiega questo aumento quasi esponenziale del numero di obbligazioni che rendono meno di zero? Ne abbiamo parlato qualche giorno fa, il rendimento di un titolo obbligazionario dipende da diversi fattori e tra questi ci sono le aspettative sulla crescita economica, sull’inflazione e sulle decisioni di politica monetaria. Per molte economie mondiali le attese sono di una crescita modesta e di inflazioni debole. A questo si aggiunge l’aspettativa (quasi certezza) che molte banche centrali manterranno un regime di tassi bassi per un lungo periodo. La somma di tutto ciò porta ad una spinta al rialzo dei prezzi delle obbligazioni ed un corrispondente schiacciamento del rendimento (prezzo e rendimento di una obbligazione si muovono sempre in direzione opposta), fino ad arrivare a quei 17 trilioni di dollari i titoli che ad oggi forniscono rendimenti negativi.
Ma c’è chi li acquista ancora, perchè? Ce lo spiega un interessante report della banca statunitense Wells Fargo. I motivi per cui si acquistano titoli che sembrano erodere il capitale investito possono essere almeno 3.
Acquisti istituzionali e quindi non sensibili ai prezzi. Sono quelli effettuati dalla banche centrali o da altri istituti “costretti” a depositare garanzie o riserve in titoli di stato.
Asset Allocation. Obbligazioni a rendimento negativo possono rappresentare, a conti fatti, l’unica opportunità di investimento o quella meno rischiosa in momenti di forte volatilità. I fondi pensione, che ragionano in ottiche di lungo periodo, inseriscono una parte obbligazionaria per garantire adeguati livelli di diversificazione dei propri portafogli.
Speculazione. Trattare le obbligazioni come le azioni e speculare sull’andamento del loro prezzo. Ipotizzando che i tassi diventino ancora più negativi e che la volatilità sui mercati azionari aumenti, un investitore potrebbe decidere di acquistare un titolo a rendimento negativo per poi rivenderlo, poco dopo, ad un prezzo più elevato. Come dimostra un dato, riportato da Wells Fargo su elaborazione Bloomberg, chi avesse investito da inizio 2019 in un titolo tedesco decennale si ritrova ora in mano un investimento con un rendimento a scadenza di -0,65% ma un ritorno positivo YTD di oltre il 4%.
Ma al di là di queste motivazioni, i tassi negativi possono portare con sé grossi effetti collaterali. In primis, un involontario e pericoloso spostamento su asset molto rischiosi (come ad esempio i titoli High Yield) da parte di singoli investitori ma anche di fondi, specie quelli pensione, alla morbosa ricerca di rendimenti per onorare i propri impegni o attirare nuovi sottoscrittori. Secondariamente i rendimenti negativi potrebbero creare qualche grattacapo ad un governo che decidesse di ricorre al mercato per fare deficit. In questo senso è sicuramente da tenere a mente quanto accaduto nell’agosto scorso, quando un’asta di Bund tedeschi a 30 anni per oltre 2 miliardi di euro di offerta ha raccolto solo poco più di 800 milioni di euro di richieste, un fallimento.