E se la FED alzasse ancora i tassi?

Una riedizione di quanto accaduto nel biennio 1998-1999 è tra gli scenari che vanno tenuti in conto, avvertono alcuni analisti. La FED di fronte ad un’economia forte e ad un’inflazione persistente potrebbe tornare ad alzare i tassi.

Correva l’anno 1998 e l’economia mondiale faceva i conti con la crisi finanziaria asiatica che con il suo scoppio aveva scosso i mercati finanziari, portato ad un rallentamento dei flussi di investimento verso quell’area e indotto un rallentamento della crescita globale. Nello stesso anno la Federal Reserve di Alan Greenspan si trovò ad affrontare il salvataggio del fondo hedge Long-Term Capital Management e la crisi del debito russo. Per evitare che l’economia USA potesse subire pesanti contraccolpi ed entrare in una fase recessiva, l’istituto centrale scelse di adottare una politica monetaria espansiva. Tre tagli nel giro di pochi mesi.

Un anno dopo i fondamentali macroeconomici statunitensi mostravano segni di assoluta robustezza. Il PIL continuava a crescre con tassi superiori al 4% (+4.5% nel 98 e +4.8% nel 99) e la disoccupazione era stabilmente sotto il 5%; l’inflazione era risalita dall’1.4% all’1.7% in pochi mesi. Temendo un possibile surriscaldamento dell’economia ed un conseguente problema di stabilità dei prezzi, il board guidato da Alan Greenspan decise di correre ai ripari e nel giugno del 1999 ricominciò ad alzare i tassi di interesse e con quattro interventi fece risalire il riferimento di 1 punto percentuale.

Bene. Ma perchè questo riassunto delle vicende economico/finanziarie statunitensi del biennio 1998-1999? La risposta è semplice: qualcuno sostiene che quella particolare situazione potrebbe ripetersi anche oggi. In altre parole tra gli analisti c’è chi ventila l’ipotesi che un taglio dei tassi entro l’anno possa essere rapidamente annullato da una nuova ondata di rialzi da parte della FED nel periodo successivo. A parlarne nei giorni scorsi è stato Jason Williams, global market strategist di Citigroup. In una nota ai clienti Williams ha sottolineato la potenziale similitudine tra le due situazioni. Se l’inflazione non dovesse tornare stabilmente attorno al 2% e se l’economia continuasse a mostrare numeri troppo robusti, allora le possibilità di un nuovo ciclo restrittivo da parte della Federal Reserve aumenterebbero.

Intervistato da Bloomberg Television, Lawrence Summers – ex ministro del tesoro USA e professore ad Harvard – ha dichiarato che le possibilità di nuovi rialzi dei tassi sono significative (una probabilità attorno al 15%). Il perchè sta in gran parte nella pressione inflazionistica ancora elevata di alcune componenti del paniere dei prezzi: servizi e costi di abitazione. A questo non può non aggiungersi una riflessione sullo scenario internazionale, in primis le potenziali ricadute sui prezzi della crisi nel Mar Rosso.

Siamo nell’ampio e creativo mondo delle ipotesi, ma quanto successo alla fine dello scorso secolo ci ricorda come gli scenari macroeconomici possano cambiare molto rapidamente e compito della banca centrale è quello di rispondere all’attualità, anche facendo marcia indietro.

Nel frattempo i mercati finanziari continuano ad interogarsi sulle tempistiche della FED. L’ipotesi di un taglio dei tassi a marzo è stata definitivamente archiviata, perde quota l’idea maggio e sembra trovare sempre più consensi giugno. L’impressione è che il gioco continuerà ancora a lungo.

Foto: Alan Greenspan – Brookings Institute

Gli ultimi articoli di Ekonomia.it direttamente nella tua casella mail. Iscriviti qui sotto.
I dati trasmessi attraverso questo modulo sono trattati secondo la nostra privacy policy, in linea con la normativa vigente. Per nessun motivo verranno ceduti a terze parti o utilizzati per l'invio di messaggi di natura commerciale.