Il principale indice azionario statunitense, lo S&P500, è entrato settimana scorsa in una fase di bull market; un rally guidato dalle società del settore tecnologico.
La scorsa settimana il principale indice azionario statunitense, lo S&P500, è tecnicamente entrate in una fase di bull market. In poche parole, rispetto al minimo toccato nell’ottobre scorso, ha confezionato una performance superiore al 20%. E se guardiamo anche agli altri mercati azionari la situazione sembra decisamente confortante. In Europa, ad esempio, i principali listini segnano tutti rialzi superiori al 10% dall’inizio del 2023.
Aggiungiamoci anche che gli ultimi dati sui profitti aziendali non sono sembrati per nulla devastanti, che i consumi dei cittadini statunitensi continuano a salire e che la FED sembra entrata in una fase di politica monetaria meno aggressiva. Tutto bene quindi? Non del tutto, vediamo perchè.
La prima considerazione da fare in merito a questo sorprendente rally è relativa alla sua origine. Cosa sta scatenando la voglia di acquisto degli investitori. Tutto sembra avere a che fare con la tecnologia, e su due fronti. Da un lato sembra che la correlazione negativa tra inflazione e settore tech, emersa molto chiaramente nel pre-pandemia, sia una delle forze generatrici del movimento al rialzo dell’indice. Dall’altro lato pare di scorgere un effetto “meme stock” su tutto ciò che riguarda l’intelligenza artificiale. E qui basterebbe ricordare la performance di NVIDIA nelle ultime settimane.
Insomma il motore di questo rally sembra in gran parte frutto del comparto tecnologico. Ma a ben guardare la composizione dello S&P500, forse, non ne è solo il motore ma anche un bel pezzo di carrozzeria. Il principale indice di Wall Street assegna ad ogni azione un peso in base alla capitalizzazione di mercato. Questo significa che attualmente le 8 principali società tech – Alphabet, Amazon, Apple, Meta, Microsoft, Netfix, Tesla e Nvidia – rappresentano il 30% della capitalizzazione complessiva dello S&P500. Detta in altro modo, il movimento dello S&P500 dipende per quasi un terzo dall’andamento di 8 azioni. Un anno fa la percentuale di capitalizzazione dello 8 sorelle era del 22%.
E quindi? Gli analisti di Dow Jones Market Data hanno provato a ricalcolare l’andamento dell’indice S&P500 adottando un criterio equal weight, vale a dire dando un peso uguale a tutte le società che lo compongono. Il risultato? Da inizio anno lo S&P500 ha registrato un aumento di oltre l’11%, la versione equal weight dell’indice ha raccolto un ben più modesto 1.1%. Un gap così largo tra le due versioni dell’indice non è mai stato registrato dal 1990 ad oggi.
Altro dato interessante. Un indicatore di buona predisposizione alla crescita di un titolo azionario è sicuramente la permanenza della quotazione sopra la media a 200 giorni. Ebbene, sempre dai dati Dow Jones, l’ultimo rilevamento settimanale disponibile ci dice che solo il 38% delle azioni dello S&P ha un prezzo superiore alla media di lungo termine.
Meglio scappare a gambe levate prima che sia troppo tardi? Non è detto, ma serve tanta prudenza. Molto dipenderà da come si muoveranno parametri vitali come inflazione, consumi e mercato del lavoro nei prossimi mesi. Un’ipotesi di recessione lieve potrebbe permettere all’azionario di proseguire sul cammino del rialzo, magari ad un ritmo un po’ più compassato.
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