Imprese, globalizzazione e le tensioni geopolitiche

Le tensioni geopolitiche, esplose negli ultimi mesi, avranno una pesante ricaduta sulla globalizzazione. Le imprese ridisegneranno la nuova catena del valore internazionale, e sarà un processo lento e disomogeneo.

Ne abbiamo già parlato qualche settimana fa e torniamo oggi sull’argomento globalizzazione. La pandemia prima e le tensioni geopolitiche poi, stanno lentamente modificando la grande catena mondiale della produzione. La globalizzazione per come l’abbiamo conosciuta sino ad ora è destinata a lasciar spazio a più reti di valore, per molti aspetti sovrapponibili a quelle zone di influenza politica che sembrano andarsi a delineare.

In un recente intervento per il CEPR, Michele Ruta, lead economist alla World Bank, ha cercato di inquadrare la questione dal punto di vista delle imprese, spiegando quale sia il ragionamento alla base della decisione di una società di trasferire la produzione da un paese ad un altro, e quali gli ostacoli che rendono questa decisione molto meno scontata di quanto si pensi.

Innanzitutto Ruta fa notare che il problema del rischio geopolitico è per certi versi molto simile a quello collegato dalla pandemia. La guerra in Ucraina rappresenta un pericoloso scossone al delicato equilibrio internazionale, dove le tensioni abbondano da decenni ma fino a questo momento erano rimaste sotto controllo. Non è un caso se il Geopolitical Risk Index, un indice sui rischi geopolitici globali, è più che raddoppiato dall’inizio dell’anno e che il suo valore è ai massimi dalla guerra in Iraq del 2003. Per dirla in altri termini, il mondo è improvvisamente diventato un posto più rischioso e la cosa non coinvolge solo le imprese che fanno affari direttamente con le parti in guerra, ma rimette in discussione molte altre situazioni.

E’ quindi lecito attendersi che le imprese più esposte, quelle che si sostengono grazie alla delocalizzazione delle produzioni, prendano in seria considerazione l’ipotesi di lasciare determinati paesi considerati a rischio conflitto e si spostino verso lidi più tranquilli. Da cosa dipende questa decisione? Ruta la spiega in maniera molto efficace: più un paese è a rischio e maggiori saranno i costi che un’impresa deve sostenere per coprire questi rischi. Quando tali costi superano i benefici della delocalizzazione è l’ora di cambiare aria (semplifichiamo drasticamente).

Il ragionamento porta a concludere che non tutte le imprese seglieranno la strada del trasferimento. Dipende dal ruolo della produzione da spostare nel ciclo produttivo dell’impresa, dipende dalla complessità tecnologica delle lavorazioni e dal costo degli impianti e del lavoro. Tutti elementi che incidono sul calcolo dei costi di traferimento ed alzano quello che in inglese si chiama treshold, la soglia oltre la quale “fare le valigie” diventa conveniente.

Il processo di ridefinizione della globalizzazione è iniziato, le tensioni geopolitiche di questi mesi non faranno altro che rafforzare il convicimento delle imprese che una nuova struttura della catena del valore è necessaria. Le modalità di questa ristrutturazione, però, non sono così scontate. Alcuni settori saranno più coinvolti di altri ed i tempi di completamento di questo processo non potranno che essere lunghi.

Foto di marcinjozwiak

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