La guerra esaspera la greenflation

La greenflation, ossia l’aumento dei prezzi generato dalla transizione energetica, teorizzata solo pochi mesi fa, rischia di venire esasperata dal conflitto in Ucraina.

Nel bel mezzo dell’estate 2021 sulle pagine del Financial Times comparve un editoriale firmato da Ruchir Sharma. Il finanziere indiano sosteneva che la transizione energetica rischia di trasformarsi in un enorme paradosso economico. Più si accelera il passaggio alle energie rinnovabili, il ragionamento di Sharma, più si aumenta il loro costo e di conseguenza le si fa diventare meno accessibili, con il risultato finale di ritardare il completamento della transizione ecologica. Pochi mesi dopo la pubblicazione di questo articolo, la greenflation – così Sharma chiama l’inflazione generata dalla transizione energetica – avrebbe iniziato a mostrare tutto il suo enorme potenziale. E La guerra in Ucraina è solo l’ultimo episodio in ordine di tempo.

Qualcuno ricorderà quanto successo in Gran Bretagna lo scorso autunno. Un periodo di insolita bonaccia tra i parchi eolici nel mar del Nord ha messo all’angolo il settore industriale inglese, con la conseguente virata sul gas ed i primi effetti sui prezzi. Un primo forte segnale del fatto che qualche variabile dell’equazione “meno fossile uguale più energia rinnovabile” non era ancora del tutto sotto controllo. E non è di certo un caso se solo qualche mese dopo nella cosiddetta “tassonomia” della Commissione Europea venivano aggiunti tra i progetti degni del “marchio green” anche quelli nel gas naturale e nel nucleare. Perchè affidarsi a risorse ancora scarse e potenzialmente incostanti porta ad un grosso rischio: l’aumento dei costi dell’energia, a cominciare da quella fossile.

Dalle parti di Francoforte qualcuno ha avvisato che il fenomeno della greenflation non sarà temporaneo e che la politica monetaria e fiscale dovranno tenerne conto. Quel qualcuno è Isabel Schnabel, membro tedesco del board BCE.

La guerra in Ucraina, come si diceva, ha soltanto aggiunto un ulteriore tassello al puzzle. Di fronte alla necessità geopolitica di ridurre la dipendenza dell’Europa dal gas russo (il principale riflesso del conflitto sul settore delle materie prime, ma non l’unico) ha messo le economie europee di fronte ad un bivio e le conseguenze sono evidenti: la (potenziale) minor offerta di gas ne ha alzato i prezzi; la prospettiva di un maggior utilizzo di energia da fonti rinnovabili ha aumentato i prezzi pure di queste fonti; Infine, il ricorso forzato ad alternative energetiche rapidamente sfruttabili (petrolio e carbone) ha portato verso l’alto il costo di risorse estremamente inquinanti. Eccola la greenflation in tutta la sua contraddittoria potenza. Ed ovviamente dove più stringenti sono le regole della transizione, più forte è l’impatto inflattivo.

Certo, stiamo sempre parlando di inflazione ed i rimedi al fenomeno esistono, ma non sono privi di conseguenze. Politica monetaria e fiscale possono agire per calmierare il costo per le famiglie e per le imprese. Il ricorso alle cosiddette comunità energetiche può ridurre la pressione sulle grandi infrastrutture attraverso un sistema in grado, sostanzialmente, di autofinanziarsi. Ma tutto questo necessità di tempo e di risorse. La transizione energetico, in definitiva, non sarà una passeggiata.

Foto di al3xanderd

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