Crisi Russia Ucraina. I ragionamenti dei mercati e l’ipotesi seconda ondata di inflazione

Poche ore prima che la situazione precipitasse scrivevamo di come i mercati finanziari valutavano i rischi della crisi tra Russia ed Ucraina. Ora si fa sempre più concreta l’ipotesi di una seconda ondata di inflazione, con conseguenze potenzialmente letali per la ripresa economica globale.

La crisi tra Ucraina e Russia sta diventando il nuovo catalizzatore dei mercati finanziari, riuscendo nella difficile impresa di far passare in secondo piano le difficoltà della ripresa economica ed i morsi dell’inflazione. La reazione delle borse mondiali nelle 24 ore che hanno separato il discorso di Putin da quello di Biden sono sembrate improntate alla prudenza*. Molto meno l’andamento delle commodities, il punto nevralgico della questione.

Nella giornata di martedì il Nickel, metallo utilizzato per la realizzazione di acciao inox e batterie, ha toccato i massimi decennali, il petrolio WTI si è avvicinato ulteriormente a quota 100 dollari al barile, l’alluminio ha raggiunto aree di prezzo record, il grano ha toccato i massimi ad un mese, il gas europeo ha guadagnato 8 punti percentuali in una sola giornata di contrattazione. Per il resto, se si esclude una corsa verso i beni rifugio per eccellenza – oro e Treasury – i mercati hanno dato la netta impressione di non voler scontare più di quanto già fatto il conflitto armato nel cuore dell’Europa e le sanzioni economiche alla Russia.

Gli investitori sembrano al momento fare due tipi di ragionamento. Il primo è ben riassunto nei numeri forniti da JpMorgan. La Russia soddisfa il 45% della domanda globale di Palladio, il 15% del Platino e l’8% di petrolio. Russia ed Ucraina assieme fanno il 25% delle esportazioni mondiali di grano e Mosca è di gran lunga il principale esportatore di fertilizzanti. A questo quadro andrebbe aggiunta la dipendenza dell’Europa dal gas russo e gli stretti rapporti economici tra alcuni stati del vecchio continente e Mosca. In altre parole i mercati ipotizzano che un inasprimento del conflitto non porti vantaggi a nessuno e che, viceversa, a tutti convenga mantenere lo scontro su regimi di bassa intensità. Lo dimostrerebbero le reazioni al discorso di Putin sia del presidente ucraino, sia di Biden.

Il secondo ragionamento, più spregiudicato e più fragile, passa ancora una volta per la politica monetaria. Le parole di Biden sono state piuttosto chiare, l’amministrazione statunitense farà di tutto per ridurre al minimo gli impatti sull’economia reale delle sanzioni. Un intento che molti investitori potrebbero aver tradotto come un possibile rallentamento delle mosse restrittive della FED e delle altre banche centrali (interessanti al proposito le parole di Villeroy).

Si tratta di ragionamenti sbagliati? Presto per dirlo. Di certo c’è solo che le conseguenze di una prolungata crisi tra Russia ed Ucraina, per i numeri che abbiamo ricordato prima, saranno severe sul fronte dei prezzi delle materie prime (metalli, energia, alimentari), e questi potrebbero potenzialmente scatenare una seconda ondata di inflazione a cui le banche centrali non potrebbero che rispondere duramente, con il rischio di una recessione globale che a quel punto si farebbe molto concreto. La durata, dunque. Menarla per le lunghe potrebbe dare l’impressione di controllo della situazione, ma si tradurrebbe fatalmente in una tragica cottura a fuoco lento della ripresa mondiale.

*Nota. Questo post è stato scritto nella giornata di mercoledì 23 febbraio, prima dell’annuncio del’intervento armato da parte della Russia in Ucraina, l’introduzione è stata aggiunta la mattina del 24 febbraio.

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