La riduzione dell’enorme massa di debito pubblico accumulato dai paesi emergenti ed in via di sviluppo può passare attraverso l’inflazione, la crescita o la ristrutturazione. E quest’ultima appare come la strada più plausibile.
Una delle grandi sfide del dopo pandemia sarà senza alcun dubbio la gestione dell’enorme massa di debito pubblico globale. Per dare un’idea della dimensione, basti pensare che a fine 2020 il debito pubblico globale era pari al 97% del PIL. A preoccupare maggiormente sono le economie emergenti e quelle in via di sviluppo. In uno scenario di tassi di interesse in crescita e con una larga fetta di debito denominata in valuta estera, questi paesi rischiano di dover passare attraverso una ristrutturazione, operazione che, per quanto programmata e concordata con le autorità finanziarie internazionali, non è mai priva di effetti collaterali.
Sull’argomento sono tornati pochi giorni fa due tra i più apprezzati economisti mondiali, Carmen Reinhart e Kenneth Rogoff. Assieme a M. Ayhan Kose e Franziska Ohnsorge hanno provato a valutare quali siano gli strumenti a disposizione di questa fetta di economia mondiale – i paesi emergenti ed in via di sviluppo – per gestire i costi del debito e ridurne lo stock.
I quattro economisti individuano tre possibili fattori di riduzione del debito: l’inflazione, la crescita e la ristrutturazione. E quest’ultima sembra la strada più verosimile per affrontare il problema.
L’inflazione, spiegano Rogloff e colleghi, può effettivamente ridurre il valore nominale del debito (se cresce ad un ritmo superiore rispetto ai tassi di interesse), ma l’effetto risulta di molto ridotto se le scadenze sono a breve termine (con i rendimenti che si adattano rapidamente al carovita) e la denominazione dei prestiti è in valuta estera (inflazione fa rima con svalutazione), elementi ampiamente presenti nel debito pubblico delle economie emergenti.
Un altro modo che i paesi emergenti ed in via di sviluppo hanno per tenere a bada il debito pubblico è crescere economicamente. Se il PIL cresce a ritmi superiori rispetto ai tassi di interesse si può ridurre il peso del debito sull’economia. Ma anche qui Reinhart, Rogoff e colleghi mettono le mani avanti. Storicamente, periodi di alto debito non sono seguiti da periodi di forte crescita e se questo è accaduto è stato in situazioni nelle quali il grosso del debito si era creato in tempi brevi (come ad esempio durante le guerre mondiali). Inoltre l’attuale trend di tassi di interessi bassi non ha alcuna certezza di continuare.
Come recentemente sottolineato anche dal Fondo Monetario Internazionale, molti paesi emergenti ed in via di sviluppo dovranno necessariamente passare attraverso una ristrutturazione del debito. Una strada che da un lato evita gli effetti di lungo periodo su crescita e finanza causati dai default; dall’altro lato permette di liberare risorse per rimettere in piedi l’economia e mantenere un livello sufficiente di spesa pubblica.
Foto di Stan Petersen