Azionario da qui a fine anno? Cresce, o forse no

Gli strategist delle principali banche d’affari internazionali disegnano scenari completamente opposti per l’azionario da qui a fine anno. Tra mancanza di alternative e pericoli derivanti da rallentamento economico ed inflazione.

Cosa succederà al mercato azionario da qui a fine anno? Mai come in questi mesi gli analisti sembrano dividersi tra rialzisi e ribassisti. E’ l’effetto delle tante variabili macroeconomiche sul tavolo.

La prima linea di pensiero, quella rialzista, è ben rappresentata dall’ultima nota rilasciata dagli analisti di Goldman Sachs. Cosa dice? In estrema sintesi il mercato azionario è destinato a crescere ancora, semplicemente perchè non ci sono alternative valide. Per gli strategist di Goldman il principale listino statunitense, lo S&P500, crescerà di un altro 4% entro la fine dell’anno e per il 2022 l’incremento di valore dovrebbe arrivare al 4.5%. Le motivazioni dell’effetto TINA (there is no alternative) sono quelle che già conosciamo, tassi di interesse bassi che scoraggiano, tra l’altro, l’investimento nel settore obbligazionario. Basti pensare – aggiunge la nota – che più della metà delle società quotate sullo S&P500 ha un tasso di rendimento annualizzato da dividendi superiore a quello medio delle obbligazioni Investment Grade. Guardando al prossimo anno, gli analisti della banca newyorkese puntano il dito sull’enorme massa di liquidità accumulata negli ultimi mesi da famiglie ed investitori istituzionali. Di questa, sostengono, almeno 19 trilioni di dollari sono destinati ad essere investiti in azioni.

Mancanza di alternative e necessità di portare a casa rendimenti. Può essere una motivazione valida per la continuazione del trend rialzista dell’azionario? Guardando ai dati di un recente sondaggio di Fidelity, la fame di rendimenti è una realtà tra gli istituzionali. Solo il 54% degli intervistati dichiara di essere fiducioso della possibilità di raggiungere i target di rendimento a tre anni. Il 39% dichiara di aver dovuto alzare il livello di rischio del proprio portafoglio pur di generare abbastanza rendimenti ed il 40% vive questo maggior rischio con un certo disagio.

Ma c’è chi non la pensa in maniera differente. Anche se non c’è alternativa e la pressione sulle performance è elevata, alcuni analisti vedono il segno meno nel futuro prossimo dei listini. E’ il caso di Bank of America. Sempre analizzando l’andamento dello S&P500, gli strategist del colosso USA vedono l’indice a 4250 punti entro la fine dell’anno, che in percentuale fa circa il 7% in meno del livello attuale. Guardando alla storia, sostengono, solo l’avvio del tapering della FED, questione di giorni, può valere una perdita di tre punti percentuali. E a questo occorre aggiungere l’irrisolta questione della supply chain internazionale, con il suo effetto rallentante sull’economia; oltre, naturalmente, all’andamento dell’inflazione nel corso dei mesi invernali.

E terminiamo proprio con l’inflazione. La scorsa settimana, Larry Fink, capo di BlackRock, intervenuto allo Schwab Impact 2021, ha ribadito che l’aumento dei prezzi non ha nulla di transitorio, ed i mercati finanziari dovranno iniziare a ragionare su cosa questo significi in termini di rendimenti obbligazionari, ma anche in termini di impatto sugli utili societari tra fine 2021 e inizio 2022. La risposta dell’investitore a questo scenario, secondo Fink, sta nell’aumentare la diversificazione, che consiste – anche – nell’affiancare ad azionario e obbligazionario asset quali il private equity ed il private debt.

Foto di Pexels

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