Si scrive pandemia, si legge shecession

I numeri confermano che la pandemia si sta trasformando sempre più in una shecession, una recessione che colpisce soprattutto le donne. I piani di recovery post-crisi dovrebbero tenerne conto.

La crisi scatenata dalla pandemia di covid-19 ha avuto un forte impatto sul mondo del lavoro, in particolare colpendo due categorie: giovani e donne. Ed emerge, con numeri sempre più definiti, la grave situazione lavorativa delle donne in questa fase di recessione. Nuovi studi mostrano, in particolar modo negli USA, come la ripresa delle assunzioni dopo il picco pandemico della primavera scorsa, abbia riguardato per la maggior parte uomini.

Simeon Djankov ed Eva (Yiwen) Zhang ci ricordano come all’inizio del 2020 la percentuale di donne occupate negli USA avesse toccato quota 58%. Da quel picco, ad ottobre scorso, si è scesi di due punti percentuali. Il gender-gap, la differenza fra uomini e donne occupate, è risalito dallo scorso gennaio, confermando che la ripresa delle assunzioni è soprattutto appannaggio degli uomini.

Titan Alon, Matthias Doepke, Jane Olmstead-Rumsey, Michèle Tertilt hanno studiato più approfonditamente i dati di questa “shecession“, una recessione che ha colpito severamente le prospettive lavorative delle donne, basti pensare che il tasso di disoccupazione femminile è salito di 2,9 punti percentuali in più rispetto a quello maschile. Un dato che dimostra ancora una volta la peculiarità della crisi pandemica rispetto a molte altre recessioni nel passato che, tendenzialmente, colpivano più il lavoro maschile che quello femminile.

Le motivazioni di questo differente andamento sono diverse. Da un lato sappiamo che i settori più colpiti dalla crisi sono anche quelli che impiegano il maggior numero di donne; i cosiddetti lavori “contact-intensive” che ricomprendono turismo, ristoranti, hotel. Dall’altro lato molti studi ci ricordano che la chiusura delle scuole d’infanzia e primarie, con la conseguente necessità di badare ai figli rimasti a casa, sia ricaduta soprattutto sulle donne rendendone in molti casi impossibile l’attività lavorativa o la ricerca di un impiego alternativo.

Su questo è interessante citare uno studio tutto italiano condotto da Daniela Del Boca, Noemi Oggero, Paola Profeta, Mariacristina Rossi. Le ricercatrici hanno provato a tradurre in numeri l’incidenza della crisi pandemica sulla ripartizione, all’interno delle coppie, delle incombenze domestiche e della cura dei figli. Lo studio mostra come nelle coppie con entrambi i partner lavoratori il sovraccarico di incombenze domestiche si sia riversato in larga parte sulle donne (più equilibrio emerge, invece, per quel che riguarda la cura dei figli).

Come ci ricordano Alon ed i suoi colleghi, esistono delle relazioni tra recessione e redditi che producono effetti di lungo periodo. La perdita di lavoro durante una recessione comporta una riduzione persistente del reddito percepito. Questo perchè, molto spesso, il lavoro che si riesce a trovare dopo una recessione non è comparabile, in termini di responsabilità, stipendio e opportunità di carriera, a quello che si svolgeva in precedenza. In una shecession, una recessione fortemente a tinte rosa, questo significa un inesorabile aumento della differenza di reddito e di stipendio tra uomini e donne. Lo studio rammenta inoltre le possibile conseguenze date dalla propagazione di questo fenomeno. Propagazione che potrebbe portare ad un’amplificazione della crisi, principalmente attraverso un indebolimento consistente dei consumi.

Djankov e Zhang concludono il loro lavoro individuando tre punti fondamentali sui quali il legislatore dovrebbe focalizzare l’attenzione nei mesi ed anni che verranno. Formazione continua, congedi parentali e una lotta più serrata al salary gap. Quest’ultimo punto, osservano gli autori, dovrebbe essere uno dei pilastri sui quali fondare i piani di recupero post-pandemia.

Foto di RAEng_Publications

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