Puntare sulle donne per uscire dalla crisi, dati alla mano, è un’ottima idea. L’ultimo Policy Brief del PIIE ci dice che dal 1997 molto è migliorato sul fronte della gender equality ma molto resta da fare.
Un recente contributo di Raj Persaud su Project Syndacate mette in risalto due figure femminili : Jacinda Ardern, premier neozelandese, e la sua omologa islandese Katrín Jakobsdóttir. Nella classifica dei paesi che hanno fatto più test e limitato il tasso di mortalità del virus, Nuova Zelanda ed Islanda sono nella top ten. Non solo. Ci ricorda Persaud che in questo ranking, tra i primi dieci paesi, ne compaiono altri due a guida femminile (Taiwan ed Estonia), aggiungendo poi i buoni risultati ottenuti da Danimarca e Germania, entrambi con premier donna. Non un risultato scontato se si pensa che la percentuale di leader femminili nel mondo supera di poco il 7%.
Un approccio scientifico, tempismo e la capacità di trasmettere al tempo stesso fiducia e la misura della difficoltà del momento sono le caratteristiche che accomunano le figure appena citate. Caratteristiche che fanno a pugni con la strategia intrapresa da alcuni leader maschi, come Trump, Bolsonaro o Johnson.
La gestione della pandemia ci sta dando un’ulteriore prova di quanto potrebbe essere profittevole aumentare la presenza delle donne nelle stanze dei bottoni. Perchè molti indizi fanno oramai una prova: la gender diversity è un fattore positivo per lo sviluppo economico.
Lo ricorda plasticamente il Policy Brief del Peterson Institute for International Economics (PIIE). Soyoung Han e Marcus Noland riassumono il risultato di una ricerca condotta sui risultati finanziari di 62mila imprese sparse in 58 paesi del mondo (rappresentanza del 98% del PIL mondiale) dal 1997 al 2017.
Lo studio mostra come la quota di donne presenti nei ruoli di comando sia andata aumentando nel tempo, molto spesso grazie ad interventi mirati da parte del legislatore. Una crescita che però viaggia ancora a ritmi troppo bassi, se è vero che per raggiungere la parità di genere nel ruolo di CEO dovremo attendere il 2063.
Inoltre sul fronte della gender diversity il mondo viaggia a più velocità. Sempre dal Policy Brief apprendiamo che Europa ed Africa sono le zone con la maggior crescita percentuale di donne nei ruoli di comando delle aziende, mentre arranca in particolare l’America Latina. Tra i singoli paesi è interessante notare l’ottimo piazzamento dei paesi dell’Est Europa (Bulgaria in testa con il 53% di posizioni di comando occupate da donne), mentre i fanalini di coda sono l’Arabia Saudita (1%) ed il Giappone (2%).
Soyoung Han e Marcus Noland ci ricordano, citando un’abbondante lista di ricerche, che aumentare la partecipazione femminile nelle sale dei bottoni non è solo un, pur sacrosanto, discorso di diritti. Ne va della capacità di una società di competere e di fare profitti.
Puntare sulle donne per uscire dalla crisi, dati alla mano, è un’ottima idea. Ma come fare? Il PIIE indica tre strade, già percorse e testate, che possono aiutare il legislatore.
- Puntare sull’educazione, in particolare incoraggiando le ragazze ad intraprendere percorsi di studio mirati alla costruzione di figure manageriali.
- Individuare un sistema premiale per le aziende che si impegnano a sostenere l’occupazione femminile e le pari opportunità nell’avanzamento di carriera.
- Irrobustire la legislazione antidiscriminatoria ed il sostegno alla genitorialità (asili nido, congedi parentali).
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