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La lenta ed inesorabile ascesa delle disuguaglianze

La globalizzazione, prima, e la crisi finanziaria, poi, hanno accentuato le disuguaglianze economiche e sociali. Se questo fenomeno é ampiamente riconosciuto nel confronto tra paesi, molto meno discussa è la crescente disparità tra regioni di uno stesso paese. Ed è qui che le disuguaglianze prosperano mettendo a rischio la sostenibilità della crescita in questi sistemi economici.

In questi anni abbiamo assistito allo sviluppo di fenomeni politici identificati come “sovranistici” o “populisti”. Si dice che questi movimenti o partiti politici parlino “alla pancia del paese”, intendendo con questo la loro capacità di sottolineare in maniera spasmodica diseguaglianze e difficoltà economiche di cui soffrono determinate fasce di popolazione.

Diseguaglianze che, stando ad un recente lavoro del Fondo Monetario Internazionale, stanno crescendo considerevolmente proprio nelle economie cosiddette “avanzate”.

Fino ad ora il dibattito economico si era concentrato sulle differenze a livello di paesi e poco si era detto di quanto le disguaglianze stessero crescendo all’interno dei singoli stati. Se, dati FMI, il Pil pro-capite degli USA è 90 volte quello della Slovacchia, allo stesso tempo un cittadino di New York produce un PIL 100 volte superiore ad un suo connazionale del Mississipi.

Le disugualianze tra regioni dello stesso paese sono, in alcuni casi, la conseguenza di una mancata distribuzione della ricchezza generata dalla lunga fase di crescita economica innescata dalla rivoluzione tecnologica. Una mancata distribuzione che si sta sclerotizzando. Il Fondo sottolinea come le disuguaglianze di reddito tra regioni siano in costante aumento da 15 anni a questa parte. Le zone ad alto tasso di disoccupazione hanno 70 possibilità su 100 di continuare a rimanere arretrate rispetto alle zone più ricche di un paese.

Anche la mobilità sembra essersi inceppata. Lo spostamento da una zona svantaggiata ad una ricca è diventato più difficile. Da un lato il costo della vita, insostenibile per chi arriva da regioni in difficoltà, dall’altro la mancanza di competenze necessarie per essere assunti nelle regioni “prime della classe”. Così, nell’ultimo decennio, il vantaggio netto del trasferirsi da zone svantaggiate a zone ricche è sceso del 25-30% in paesi come la Spagna e gli USA.

Disoccupazione, servizi sociali scadenti e bassa scolarizzazione sono i problemi che attanagliano le regioni con difficoltà. Gli shock tecnologici sembrano essere i più pericolosi in termini di disoccupazione e sono tendenzialmente in grado di allargare ancora di più la forbice della disparità economica tra zone di uno stesso paese.

Disparità economiche che alimentano tensioni sociali e possono, come testimoniano i recenti fatti in Cile e Bolivia, portare all’instabilità politica e minare il percorso di crescita complessivo di un paese.

Le disuguaglianze economiche sono un problema per l’intero paese. Come sottolinea l’FMI in un altro lavoro, la disparità economica ha conseguenze sulle opportunità di crescita di ogni singolo cittadino e la mancanza di opportunità diventa un problema per la capacità di crescere dell’intera economia.

La politica fiscale può fare qualcosa per evitare che il problema delle disugualianze continui ad ingrossarsi? Secondo l’FMI le armi ci sono. A partire da una politica fiscale maggiormente redistributiva, ma anche investendo in infrastrutture, sanità ed educazione nelle zone più svantaggiate.

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