Le domande improvvise. Cos’è l’indice di Sharpe?

Uno degli indicatori più noti e diffusi per sapere se il rischio di un investimento è ripagato dal suo rendimento è l’indice di Sharpe.

In parole semplici l’indice di Sharpe ci dice, per ogni unità di rischio assunto, qual è stato il rendimento in eccesso del nostro investimento rispetto ad un investimento a rischio zero (un Bund tedesco o un Treasury americano, ad esempio).

Grazie all’indice di Sharpe è possibile comparare tra loro diversi investimenti – aventi in comune uno stesso benchmark di riferimento – e definirne l’efficienza relativa. Stabilire, cioè, quale sia stato in grado di garantire il maggiore extra rendimento (definito come differenza tra rendimento dell’investimento e rendimento a zero rischio) per unità di rischio. In altre parole, l’investimento che ottiene il valore dello Sharpe ratio più elevato è quello che si sta comportando con maggiore efficienza nel relazione tra rendimento e rischio assunto.

Dal punto di vista dell’investitore ciò significa che il fondo con lo Sharpe Ratio più alto avrà ottenuto, rispetto agli altri, un rendimento più consono al rischio (volatilità) al quale saranno stati sottoposti i suoi risparmi.

Graficamente, in uno spazio bidimensionale rischio-rendimento, l’indice di Sharpe risulta essere il coefficiente angolare della semiretta che unisce la combinazione rischio-rendimento dell’investimento con la combinazione rischio rendimento di un investimento a rischio zero. Più alto è il valore dell’indice di Sharpe e maggiore sarà l’inclinazione della semiretta.

Questo indicatore assume particolare importanza soprattutto nella valutazione dei fondi comuni di investimento mentre tende ad essere meno significativo con distribuzioni dei rendimenti soggette a curtosi, asimmetria e autocorrelazione. Lo Sharpe ratio, ad esempio, risulta poco significativo nell’analisi di un Hedge Fund che per sua natura presenta distribuzioni di performance con le caratteristiche appena descritte; caratteristiche che tendono a sottostimare l’effettivo profilo di rischio del gestore e quindi a portare a valutazioni artificiosamente più favorevoli.

Foto di Flo Heibe da Pixabay

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