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Soldi nelle cassette di sicurezza? La tassa c’è già e si chiama inflazione

Gira da qualche giorno la notizia secondo la quale il governo starebbe discutendo di una specie di “scudo fiscale” per i soldi conservati nelle cassette di sicurezza. Ma una tassa sui soldi “fermi” (in conto corrente o nel forziere) c’è già e si chiama inflazione.

Come riporta, fra gli altri, il Sole24Ore in un articolo di qualche giorno fa, i soldi “accantonati” dagli italiani sul conto corrente, in certificati di deposito ed in biglietti hanno sfiorato, nel 2018, quota 1400 miliardi. Per fare un confronto, stiamo parlando di una cifra che coprirebbe il 60%, circa, del debito pubblico italiano e che rappresenta un terzo della ricchezza finanziaria complessiva del paese; un’enormità.

E non si tratta di una moda passeggera. Dal 2008 ad oggi la liquidità in conto è aumentata di 300 miliardi di euro, 20 miliardi sono stati depositati solo nel 2018. Andando a ritroso tra le statistiche della Banca d’Italia, dobbiamo risalire al 2005 per trovare un saldo di poco superiore ai 900 miliardi di euro. A tutto questo andrebbero aggiunti materassi, forzieri e le famose cassette di sicurezza, oggetto del desiderio dei piani del governo per reperire risorse. Un oceano di denaro liquido.

Paura, incertezza e scarsa conoscenza di nozioni fondamentali. Potremmo riassumere così le motivazioni che portano gli italiani a rimanere cash? Si, in parte è proprio così e non è tutta colpa del risparmiatore. Banche dalle gestioni allegre, bond ad alto rischio spacciati per sicuri, diamanti venduti come bene rifugio, polizze index succhia soldi. Insomma l’industria del risparmio gestito ed il sistema bancario ci hanno messo del loro nell’ingenerare tra il popolo dei risparmiatori una (per certi versi, sana) diffidenza nell’investire.

Tra le cause, l’abbiamo detto, c’è anche una scarsa conoscenza di nozioni fondamentali. Un’indagine condotta dalla Banca d’Italia, sempre nel 2018, ci conferma che i cittadini italiani sono meno preparati in materia finanziaria rispetto a quelli degli altri paesi del G20 (con un voto di 3,5 su una scala da 1 a 7, media G20 a 4,3) e più della metà ne è pienamente consapevole, un dato, quest’ultimo, di molto superiore alla media del G20 (30%). Un so di non sapere, per scomodare Socrate, che molto probabilmente conduce dritti dritti al mantenere i soldi in liquidità, consci dei propri limiti nel capire come gira il mondo degli investimenti.

Una delle nozioni che forse sfugge è quella che lega il tempo che passa al valore del denaro. E’ l’inflazione, il movimento costante dei prezzi che erode il potere d’acquisto e si trasforma in una tassa occulta, un balzello da 10 miliardi di euro solo nel 2018. La difficoltà a riconoscere la differenza tra un rendimento nominale ed uno reale porta i risparmiatori all’errata percezione che i soldi in liquidità siano sicuri, al riparo da ogni rischio. Con i conti remunerati in gran parte sotto l’1% di rendimento nominale netto e l’inflazione attorno all’1,0%, investire in liquidità, su orizzonti superiori ai 12/24 mesi, può diventare molto più rischioso che detenere strumenti finanziari come obbligazioni o, su periodi superiori ai 5 anni, azioni.

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