Una primavera instabile, non solo dal punto di vista meteorologico, sta facendo venire il mal di testa a chi si deve occupare di investire capitali, propri e di terzi. Tra dazi, tassi di interesse e profitti aziendali, come si muovono i grandi investitori? Un indizio ci viene da Tiger 21 e riguarda la liquidità.
Tiger 21 chi? The Investment Group for Enhanced Results in the 21st Century, acronimo TIGER 21, è un network di 750 investitori, fondato nel 1999 da Michael Sonnenfeldt, che si scambia informazioni ed analisi su strategie di investimento per migliorare le performance dei propri portafogli. Una sorta di club riservato (ai super ricchi, per farla breve) che mette assieme qualcosa come 75 miliardi di dollari di capitale investito.
Analizzando le strategie messe in atto negli ultimi mesi da TIGER 21, risulta interessante notare come sia vistosamente aumentata la quota di liquidità, un aumento che nel primo trimestre del 2019 è stato del 20%. Ad oggi il 12% dell’intero patrimonio gestito dal network è investito in strumenti di liquidità. Certo, negli USA i tassi di interesse sono decisamente più attraenti che nella zona Euro, ma fa specie vedere tanti soldi parcheggiati in cash.
I motivi di tale scelta li spiega lo stesso Sonnenfeldt. La lista delle preoccupazioni è lunga: dalla faccenda dazi alle questioni geopolitiche; dalle valutazioni (care) dei mercati azionari al deficit USA alle stelle. Si citano inoltre squilibri reddituali sempre più accentuati tra i cittadini delle principali economie mondiali e la fiacchezza della macchina amministrativa americana. E poi c’è sempre, dietro l’angolo, il cigno nero che non ti aspetti e che potrebbe rovinosamente planare sui mercati finanziari.
Un ricco carnet di incertezze che ha inciso sulle decisioni finanziarie del network. E così il mega portafoglio di TIGER 21 ha subito considerevoli diminuzioni di investimenti negli Hedge Fund (5%), nel Real Estate (26%) ed azzerato le posizioni su valute e commodities.
L’esposizione sul capitale di rischio rimane vicina al 50% (47% circa), quasi equamente divisa tra investimenti azionari su mercato (25%) e private equity (22%).
La liquidità non è, per molti versi, un investimento ma rappresenta un segnale piuttosto evidente che, nel breve e nel medio periodo, sono aumentate le incertezze su quale potrà essere la dinamica dei mercati. E, par di capire, non si tratta solo di dubbi legati a multipli di mercato.
Foto di NikolayFrolochkin da Pixabay