Junker ed il segreto di Pulcinella

Manca poco più di una settimana alle elezioni politiche italiane. Al di là di come la pensiate e se apparteniate al partito degli astensionisti o meno, sarà un appuntamento molto importante. Le parole pronunciate da Junker, fatta salva la  “maleducazione istituzionale”, non aggiungono nulla a quello che già sui mercati si conosce da tempo.

Primo dato. Piazza Affari, nell’ultima settimana, è la peggiore in Europa e lo spread Bund BTP è salito sui massimi dell’ultimo mese, intorno a 140 punti base. Per il momento la coperta della BCE ci sta proteggendo ma dalla seconda metà del 2018 molte cose cambieranno. Il QE è destinato a spegnersi ed all’orizzonte spunta il nome di Weidmann come successore di Mario Draghi (si, proprio il falco Weidmann…).

Secondo dato. Continua la vendita di titoli di stato da parte delle banche italiane. Il saldo, a due anni, è di 90 miliardi di euro di titoli venduti, una riduzione di 1/5.

Terzo dato. L’aumento considerevole di posizione short sui mercati europei ed in particolare la maxi scopertura del fondo hedge Bridgewater sulle blue chips italiane. Anche i fondi comuni  azionari italiani (come segnalato da Epfr Global) hanno visto, nelle ultime 10 settimane, un aumento dei riscatti.

Quarto dato. L’Istituto Bruno Leoni da qualche settimana fa scorrere il contatore del debito pubblico italiano sui tabelloni di alcune stazioni ferroviarie italiane. Un modo originale ma efficace di ricordare quale macigno svolazzi costantemente sopra le nostre teste. A fine febbraio dovrebbe arrivare a 2.295 mld di euro.

Si intuisce che il rischio Italia è aumentato e le parole di Junker dicono solo ciò che in Europa – e non solo – si pensa. Siamo alla solita schizzofrenia pre-elettorale? Anche, ma il problema di fondo c’è. Ben inteso, la sovranità appartiene al popolo italiano che, vivaddio, la esercita nel modo che preferisce. Un’azienda però, per quanto democratica possa essere, non sta in piedi se il bilancio è in profondo rosso.

È la sostenibilità del debito il punto. È questo che preoccupa i mercati. Non è tanto l’instabilità politica, intesa come assenza di governo, ad agitare il sonno degli investitori. A preoccupare è l’incertezza su quella che sarà la strategia di politica economica del nuovo governo e gli effetti che questa potrà avere sulle casse dello stato.

Si dirà che sono solo promesse elettorali che poi, giunti nella sala dei bottoni, ci si ammanta di responsabilità e si viene ricondotti a più miti consigli. Sarà, ma ci sono ancora posti dove le parole, anche quelle dette in campagna elettorale, contano.

 

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