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Inflazione, debito e recessione, i tre scogli contro cui fanno rotta gli Stati Uniti

Gli Stati Uniti si muovono in acque agitate e sulla rotta sono tre gli scogli più pericolosi: inflazione, debito, recessione.

Un’altra settimana ad alta volatilità sui mercati finanziari, lo specchio perfetto dello stato di confusione – o meglio ancora di chaos, come titola l’ultimo numero dell’Economist – che si sta materializzando per l’economia mondiale. L’epicentro di questa instabilità, fa quasi impressione scriverlo, sono gli Stati Uniti. Anzi, per essere più precisi, il modo con il quale il nuovo inquilino della Casa Bianca ha deciso di affrontare i temi cavalcati durante la campagna elettorale.

E gli Stati Uniti rischiano di essere la prima vittima del complesso effetto domino che inizia ad innescarsi; come una nave lanciata su una rotta disseminata di tempeste e tanti scogli. Spuntoni di roccia di varie dimensioni, tre sicuramente molto preoccupanti: inflazione, debito e recessione. Riuscire a centrarli tutti e tre, oltre che a certificare una certa qual dote da parte del timoniere, significherebbe trascinare l’economia statunitense verso fondali da cui è difficile risalire. Pur non volendo nemmeno pensare che questo possa accadere, e cullati da un leggero ottimismo di fondo che si alimenta dell’idea che paesi così importanti abbiano gli antidoti per questa particolare tipologia di veleno, dobbiamo comunque constatare che inflazione, debito e recessione sono lì nel bel mezzo della rotta percorsa dal battello Stati Uniti.

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Partiamo dai prezzi. Sulla questione non bisogna dimenticare due cose. La prima è che i dazi li paga l’importatore e che difficilmente chi poi immette sul mercato americano i beni importati non trasferisce questo balzello aggiuntivo ai consumatori. La seconda è che se è vero che i dazi derivati dalla formula magica sono stati sospesi (Cina a parte), è anche vero che la quota fissa – chiamiamola così – del 10% rimane in vigore; e si tratta, in ogni caso, di una percentuale non indifferente. A questa vanno aggiunti i dazi sui metalli, sulle auto, le minacce di intervenire sul settore dei chip e dei farmaci. Insomma, pensare che i prezzi non saliranno è davvero molto, molto complicato.

Le mosse fatte da Trump sino a questo momento sembrano indicare una cosa: il nemico numero uno è la Cina. Certo Pechino sembra essere un po’ cascata nel tranello, ma di armi a disposizione per rispondere all’assalto statunitense ne ha. Due su tutte: svalutazione dello yuan e 760 miliardi di dollari di debito pubblico statunitense. Eccoci al secondo punto: il debito pubblico. Da settimane l’inascoltato Ray Dalio sta continuando a ripetere come l’enorme massa di debito accumulato in questi anni dagli USA (opera bipartisan, specifichiamolo), sia paragonabile ad una bomba ad orologeria. Anzi, meglio, sia come una mina su cui qualcuno ci abbia posato mezzo piede: minimo movimento e boom. Senza un riequilibrio tra spesa e entrate (cioè senza riforme fiscali sostanziali), gli Stati Uniti rischiano di entrare in una fase di correzione economica forzata. Gestire qualcosa come il 2% delle emissioni di Treasury, questa la posizione cinese, significa sicuramente poter incidere sul mercato e di conseguenza sui rendimenti; e i rendimenti regolano il costo del debito. Secondo un recente rapporto riportato da Barron’s, solo nella prima metà dell’anno fiscale 2025 gli interessi pagati sono stati intorno ai 582 miliardi di dollari, mentre il deficit registrato in questo periodo ha raggiunto circa 1,307 trilioni di dollari. Se annualizziamo questi numeri, il servizio del debito pesa all’incirca per il 44–45% del deficit totale.

L’ultimo punto, la recessione. In estrema sintesi questo non è altro che l’effetto dei due punti precedenti, a cui si aggiunge un drastico calo della fiducia dei consumatori e delle imprese. Il combinato disposto di prezzi alti, tassi alti e rendimenti a lungo alti non porta ad altro se non ad un calo dei consumi, ad un rallentamento degli investimenti e ad un blocco del settore immobiliare (i tassi sui mutui sono legati ai treasury a lungo). Consumi e investimenti sono voci essenziali nella somma aritmetica che genera il PIL di un paese.

Come detto, inflazione, debito e recessione sono tre scogli difficili da gestire separatamente, immaginate cosa potrebbe voler dire per l’economia degli Stati Uniti affrontarli assieme. La stagflazione, in questo scenario, sarebbe alla fine persino il male minore. Saranno 90 giorni intensi per la Casa Bianca.

Foto di AlKalenski

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