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Le tante (utili) lezioni della vicenda DeepSeek

La vicenda DeepSeek rappresenta un ulteriore step per il settore tecnologico. Tante lezioni da imparare e quel collegamento con il paradosso di Jevons.

Diciamolo subito. Se avessimo chiesto di parlare di DeepSeek ai centinaia di analisti, manager ed esperti che quotidianamente affollano i network finanziari più rinomati, una buona parte non avrebbe nemmeno saputo dirci di cosa si trattava. E questa è la prima grande lezione del caso scoppiato lunedì scorso sui mercati finanziari: viviamo immersi in una bolla autoreferenziale di esperti che pontificano e continuano a volerci spiegare come va il mondo, ma il mondo se ne infischia e va per i fatti suoi.

DeepSeek, dunque. La vicenda oramai è nota, l’ultimo modello di calcolo della piattaforma cinese avrebbe prodotto risultati equivalenti, se non superiori, a quelli delle concorrenti occidentali. E per farlo, ecco la “bomba”, avrebbe utilizzato chip meno potenti ed in minor numero. Un modello più efficiente, meno costoso e addirittura open source; in pratica una botta micidiale per le aspettative di profittabilità delle grandi società statunitensi del settore, alle prese con costi esorbitanti, fame di energia e profitti che non sembrano voler accelerare.

La reazione sui mercati finanziari non si è fatta attendere, colpendo il settore tecnologico e trascinando al tappeto anche il principale indice statunitense, lo S&P500, oramai dominato dalle magnifiche sette. Qualcuno ha parlato di una bolla che scoppia, qualcun’altro di un cigno nero per i mercati finanziari. In attesa di capire i reali contorni della vicenda, che presenta diversi lati ancora oscuri, sembra molto più utile concentrarsi sulle lezioni che DeepSeek ed il suo modello R1 possono insegnarci.

Riannodando le varie notizie, Perplexity (il motore di ricerca basato sull’AI) ci suggerisce questa conclusione.

In sintesi, le restrizioni americane hanno influenzato lo sviluppo di DeepSeek spingendo l’azienda a sfruttare al meglio le risorse disponibili e a investire in tecnologie innovative. Questo approccio non solo ha permesso a DeepSeek di competere efficacemente nel mercato globale dell’intelligenza artificiale, ma ha anche messo in discussione il predominio delle aziende tecnologiche statunitensi nel settore.

E questa ci pare già un’altra lezione importante, soprattutto in un periodo nel quale si parla sempre più di protezionismo. Quando alle chiusure si risponde con l’investimento e la ricerca, allora l’esito finale del confronto non è più così scontato.

L’altra grande lezione che si può trarre da questa vicenda è che ragionare in termini di profitti non aiuta a capire la portata delle grandi rivoluzioni tecnologiche. L’intelligenza artificiale sta traghettando l’economia mondiale in una nuova dimensione, ridurla ad una conta degli utili di una manciata di società è fuorviante. Daniel Newman (Futurum), sottolineava quache giorno fa come il caso Deep Seek rievochi il famoso paradosso di Jevons. Si tratta di un concetto economico formulato dall’economista britannico William Stanley Jevons nel 1865, nel suo libro The Coal Question. Esso descrive un fenomeno sorprendente: miglioramenti nell’efficienza di utilizzo di una risorsa possono portare a un aumento del suo consumo anziché a una diminuzione. Questo accade perché l’aumento dell’efficienza riduce i costi associati all’uso della risorsa, rendendola più accessibile e quindi più utilizzata. Ergo, la performance del modello R1 potrebbe ampliare l’utilizzo dell’Intelligenza Artificiale, moltiplicandone le applicazioni e aprendo nuovi mercati. Altro che “Armageddon dell’AI”, piuttosto la fine di un periodo di sovra eccitamento per qualche società.

Foto di Chen

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