La politica non è altro che lo specchio della società. A guidare le scelte che i cittadini fanno nel segreto delle urne elettorali è la percezione del mondo che li circonda e delle minacce che sentono gravare sulle loro spalle, vere o presunte che siano. Non si vota più per un ideale, una minoranza vota per senso di appartenenza, ma la maggioranza di chi si esprime lo fa per esternare il proprio malessere e “punirne” i presunti colpevoli.
I numeri dell’ultima edizione del Trust Barometer curato da Edelman sembrano dare solide fondamenta al pensiero appena esposto. Un pensiero condiviso da molti e che i risultati delle ultime tornate elettorali avevano già rafforzato.
Richard Edelman, CEO di Edelman, nel presentare i risultati del report, ha dichiarato che il mondo è entrato in una sorta di “age of grievance“, un periodo in cui regna il malcontento, la contestazione figlia di un senso di ingiustizia, soprattutto di un ingiustizia economica. Dal sondaggio, condotto a ottobre dello scorso anno su un campione di 33 mila persone di 28 differenti paesi del mondo, emerge che il 60% degli intervistati ritiene che i governi e l’economia rendano più difficile la loro vita e siano al servizio di una ristretta cerchia di interessi. L’inflazione globale ed il timore che i cambiamenti economici possano mettere a rischio i posti di lavoro sono tra le principali cause che alimentano questo profondo senso di ingiustizia.
Per oltre la metà degli intervistati, sopratuttto giovani, il capitalismo è più un male che un bene. E per provare a cambiare le cose, secondo il 40% del campione, sono giustificati anche la disinformazione, gli attacchi online o la violenza contro persone o proprietà. Numeri per certi versi agghiaccianti, ma che raccontano il grado di disorientamento raggiunto da una larga fetta di popolazione. Un disorientamento spesso trascurato dalla politica, etichettato in tanti modi ma mai affrontato di petto. E le conseguenze elettorali sono ora sotto gli occhi di tutti.
Due terzi del campione, si legge ancora nel report, ritiene di aver subito una qualche forma di discriminazione (un aumento di 10 punti percentuali rispetto all’edizione precedente); il 60% sente l’innovazione tecnologica come una minaccia per il proprio posto di lavoro; e solo il 36% degli intervistati ritiene che le cose potranno andar meglio nel futuro.
In questo quadro, per molti versi desonante, sembra farsi largo un raggio di luce. Analizzando i dati sembra esserci una correlazione tra fiducia nelle istituzioni e crescita economica. Paesi come Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e India mostrano costantemente alti livelli di fiducia istituzionale, mentre accade il contrario in Germania, Giappone e Corea del Sud, dove i governi stanno attraversando difficoltà economiche e politiche. Nelle economie avanzate, dove le prospettive di crescita economica sono necessariamente più basse, la fiducia può essere riconquistata garantendo una miglior distribuzione delle risorse e allentando regolamentazioni troppo stringenti che spesso bloccano le iniziative private.
Richard Edelman conclude dicendo. “La nostra ricerca ci dice che quando le persone vedono soluzioni, sono più fiduciose e disposte a sacrificarsi per il bene superiore. Quando si guadagna la fiducia, l’ottimismo cresce”. Ecco, proporre soluzioni dovrebbe essere il mantra della politica da ora in avanti.
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