Il modello elaborato da Olivier Blanchard e Ben Bernanke, applicato su 11 realtà economiche differenti, ci consegna un nuovo ritratto dell’inflazione post pandemica e suggerisce che la strada di ritorno verso il target è ancora relativamente lunga.
Il periodo di inflazione sostenuta che ci stiamo lentamente lasciando alle spalle è unanimamente considerato come la diretta conseguenza della crisi scatenata dalla pandemia. Sulle sue cause e sulle dinamiche che l’hanno attraversata in questi quattro anni si sono già scritte molte pagine. La parola fine in economia non esiste, ma un buon punto d’arrivo sembra essere il modello sviluppato da Olivier Blanchard e Ben Bernanke.
In un working paper appena pubblicato dal Peterson Institute for International Economics (PIIE), i due economisti fanno il punto sull’applicazione del modello BB in 11 realtà mondiali. I risultati, al netto delle peculiarità di ogni paese, sembrano portare a conclusioni molto simili e lanciano un indizio su come dovrebbe essere l’ultimi miglio verso il ritorno al target inflattivo fissato dalle banche centrali.
Per analizzare cause e comportamento dell’inflazione post pandemica, il modello BB prende in considerazione quattro variabili: i numeri dell’inflazione, l’andamento dei salari, le aspettative sull’inflazione di medio e di lungo periodo. Utilizzando questo “cruscotto” di indicatori è possibile individuare gli shock e le modalità di trasmissione che hanno generato ed alimentato l’aumento dei prezzi al consumo dal 2021 in poi.
I risultati di questo lavoro ci dicono che l’evoluzione dell’inflazione post pandemica è divisibile in due distinte fasi. Una prima fase, la miccia che ha scatenato l’incendio, nella quale hanno agito uno shock dal lato dell’offerta ed un aumento dei prezzi di energia e beni alimentari; una seconda fase nella quale il motore principale dell’incremento dei prezzi è stato l’aumento dei salari nominali, conseguenza di un mercato del lavoro surriscaldato. Se nella prima fase la spinta sui prezzi si è dimostrata di tipo transitorio, nella seconda la storia differisce a seconda della risposta del mercato del lavoro di ogni paese analizzato, misurata principalmente come rapporto tra offerte di lavoro e livello di disoccupazione (vacancy-unemployment ratio). Dove questa è stata più forte l’inflazione tende a mostrarsi più persistente.
La conseguenza di questi risultati è che per ritornare sui livelli di sostenibilità dei prezzi definiti dalla bance centrali è necessaria una riduzione del rapporto tra offerte di lavoro e disoccupazione. Il che significa una riduzione del numeratore (meno offerte), ma anche – sostengono gli autori – un livello di disoccupazione più elevato. Se l’allontanamento dal picco inflattivo è stato relativamente indolore, frutto del venir meno degli shock che lo alimentavano, l’ultimo miglio, quello che dovrebbe riportare l’inflazione attorno al target, potrebbe avere un costo maggiore e richiedere un periodo di disoccupazione più elevata. Vista l’attuale situazione macro, se seguiamo i risultati del modello BB, il traguardo non appare ancora così vicino.
Illustrazione di Alexandra_Koch