Per capire le potenzialità di crescita dell’economia statunitense bisogna sempre partire dalla valutazione dello stato di salute della sua domanda interna. E gli ultimi dati relativi alla fiducia dei consumatori e alle vendite al dettaglio sembrano suggerire una condizione non più tanto rosea come qualche mese fa. A questo si deve aggiungere un problema crescente: la gestione del debito.
Nella stima preliminare di maggio l’indice Michigan sulla fiducia dei consumatori è sceso ai minimi da sei mesi a questa parte, con l’aspettativa di inflazione a 12 mesi che è risalita al 3.5%. I consumatori, si legge nel report che accompagna i risultati del sondaggio, sembrano sempre più preoccupati dagli effetti del potenziale incrocio di tre elementi: inflazione persistente, tassi di interesse alti ancora per molto ed un aumento della disoccupazione. In altre parole, le famiglie statunitensi stanno seriamente prendendo in considerazione l’ipotesi che si possa concretizzare un periodo di stagflazione per l’economia USA. Nel concreto la minor fiducia si traduce in una minor propensione agli acquisti. Così, ad aprile, le vendite al dettaglio hanno fatto registrare una crescita nulla su base mensile, mentre le spese personali sono cresciute dello 0.8%, sempre su base mensile, trainate da acquisti di beni “primari” come carburanti ed alimentari.
In questo quadro, già di per sè non propriamente roseo, si innesta un altro elemento: l’indebitamento privato. Stando agli ultimi dati elaborati dalla Federal Reserve di New York, il debito delle famiglie statunitensi è salito fino a toccare la cifra record di 17.7 trilioni di dollari.
Uno dei fenomeni più preoccupanti riguarda il vero e proprio boom del cosiddetto “compra ora, paga dopo” (BNPL). Si tratta a tutti gli effetti di debito, ma la sua quantificazione non è semplice. Stando ai calcoli dell’agenzia Bloomberg questo “debito fantasma” potrebbe valere decine di miliardi di dollari. L’accumularsi di questo debito differito, conseguenza della difficoltà da parte dei consumatori di far fronte alle spese con le sole entrate mensili e con i propri risparmi, rischia di trasformarsi in una bomba ad orologeria se dovesse concretizzarsi quell’incrocio di tre “streghe” di cui si parlava sopra.
Gli effetti degli alti tassi di interesse e del ricorso sempre più massiccio al credito si stanno già facendo notare in alcuni indicatori. Il tasso di insolvenza sulle carte di credito, ad esempio, è tornato sui massimi del 2012. I dati raccolti dalla Fed di Philadelphia ci dicono che il numero di titolari di carta di credito che scelgono la rata minima è passato dal 7.9% del marzo 2021 al 10.7% di dicembre 2023. Il 10% delle carte in circolazione ha un saldo maggiore ai 5 mila dollari.
Numeri e segnali di debolezza che non vanno né drammatizzati, né sottovalutati ma che confermano la pesante eredità di questo periodo di alti tassi di interesse e di inflazione persistente.
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