Debito pubblico, la carica dei 2 trilioni

Secondo le ultime stime dell’FMI nel 2023 il debito pubblico genererà oneri per 2 trilioni di dollari, un 10% in più rispetto all’anno scorso. Ed è una cifra destinata a salire.

Negli ultimi dieci anni, il mondo ha sfruttato tassi di interesse ai minimi storici per fare un’abbondante scorpacciata di debiti senza interessarsi troppo del momento in cui si sarebbe presentato il conto da pagare. Ora le cose sono radicalmente cambiate. Secondo le ultime stime i governi prevedono di spendere complessivamente 2 trilioni di dollari per interessi sul loro debito pubblico quest’anno, con un aumento superiore al 10% rispetto al 2022. Secondo altri studi, tra cui quello di Teal Insight su dati del Fondo Monetario Internazionale, riportato dal Wall Street Journal, entro il 2027 questa cifra potrebbe superare i 3 trilioni di dollari. Sempre in riferimento al 2023, circa una dozzina di paesi dovrebbero spendere un quarto o più delle loro entrate per interessi sul debito.

L’incremento dei costi degli interessi pone i governi di fronte a scelte difficili. Mentre i costi del debito pubblico aumentano, i politici devono prendere decisioni impopolari tra aumentare le tasse, tagliare le spese o continuare a accumulare deficit che aumentano i costi degli interessi. E tutto questo mentre ci si confronta con la crescente spesa militare in risposta alle crisi geopolitiche, con l’invecchiamento della popolazione e si iniziano ad affrontare in maniera sempre più frequente gli oneri derivanti da eventi climatici estremi.

Negli Stati Uniti, la spesa record di 659 miliardi di dollari per interessi netti dell’ultimo anno fiscale è il campanello d’allarme più evidente, ma aumenti simili si riscontrano in molti altri paesi. Come la Cina, ad esempio, che combatte con un’enorme montagna di debiti accumulati da governi locali o incagliati nel settore immobiliare, spesso con oneri superiori ai rendimenti derivanti dai progetti di investimento.

In Europa le preoccupazioni persistono per paesi fortemente indebitati come l’Italia, ma si prevede una diminuzione generale dei livelli di debito nei prossimi anni. Le regole dell’Unione Europea, che limitano il deficit di bilancio al 3% del PIL e il debito al 60% del PIL, dovrebbero riprendere il prossimo anno, nonostante l’incremento della spesa militare in seguito all’invasione russa dell’Ucraina.

Il problema dei crescenti costi del debito colpisce molte nazioni ma questo fenomeno è particolarmente critico nei paesi più poveri, dove i responsabili politici devono già scegliere tra spese per i cittadini, pagamenti necessari e il rimborso del debito. Questa situazione rischia di alimentare una crisi di sviluppo, togliendo risorse che potrebbero altrimenti essere investite in educazione e infrastrutture che favorirebbero la crescita economica.

Anche per questo motivo il ricorso alla ristrutturazione del debito, possibilmente prima di arrivare ad una situazione di pre-insolvenza, può essere la soluzione con il minor impatto su crescita e welfare.

Foto di Steve Buissinne

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