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Michael Burry, l’effetto bullwhip e la recessione

Un tweet di Michael Burry, uno dei pochi a prevedere la crisi del 2008, getta nella mischia una nuova ipotesi sul futuro dell’economia e dei mercati finanziari nei prossimi mesi, tra effetto bullwhip e recessione.

A molti cinefili il nome di Michael Burry richiamerà alla mente il film di Adam McKay, La grande scommessa, interpretato da attori del calibro di Christian Bale, Steve Carell, Ryan Gosling e Brad Pitt e vincitore di una statuetta agli Oscar del 2016. A chi si occupa di finanza, invece, il nome di Burry è indissolubilmente legato alla crisi finanziaria del 2008, crisi che l’ex capo di Scion Asset Management previde con largo anticipo investendoci con un quel “big short” che ha ispirato prima un libro e poi il sopraccitato film.

In un periodo così complicato e nebbioso per i mercati finanziaria, qual è quello che stiamo vivendo, è normale che, con un curriculum come quello di Burry, qualsiasi sua dichiarazione faccia notizia nei desk operativi e non solo. E Burry, attraverso il suo account Twitter (Cassandra BC), di messaggi ne ha lanciati diversi nelle ultime settimane. In particolare, in uno degli ultimi tweet, Burry mette sul piatto un concetto: l’effetto bullwhip (l’effetto frusta) ed il possibile arrivo di una recessione.

https://twitter.com/michaeljburry/status/1541419336677462016

A cosa si riferisce? L’idea in poche parole è che il movimento di fondo da seguire, quello destinato ad emergere nei prossimi mesi, non sia una crescita smodata dell’inflazione e dei tassi di interesse ma, al contrario, un’inversione di tendenza dei prezzi tale da portare la FED ad interrompere la sua politica monetaria restrittiva. Ed alla base di questo fenomeno di disinflazione ci sarebbe il sovradimensionamento delle scorte al dettaglio rispetto alla reale necessità, risultato diretto di quell’effetto bullwhip che altro non è se non l’amplificazione della variabilità della domanda lungo tutta la catena di distribuzione (più è lunga la catena e più si distorce la stima della domanda).

L’argomento è molto interessante anche perchè qualche indizio comincia ad emergere dai dati. Ne parlavamo settimana scorsa citando i numeri di Walmart e Target (troppe scorte rispetto alla reale domanda in calo, politica di prezzi al ribasso per smaltirle, riduzione dei profitti), lo ricordava Jared Dillian nei giorni scorsi su Bloomberg osservando come il Bloomberg Commodity Index sia entrato in un periodo di correzione piuttosto significativo. Per Burry questo “deflationary pulse” inizierà ad incidere sull’indice dei prezzi entro la fine dell’anno e da lì, a cascata, un nuovo cambio di rotta della FED ed ovviamente una nuova fase per il ciclo economico, leggasi recessione.

Uno scenario che possiamo complicare ulteriormente se dagli USA ci trasferiamo nel vecchio continente. Qui i prezzi stanno salendo molto più per fattori legati all’offerta che non alla domanda e se quest’ultima cala non necessariamente potrebbe calare della stessa intensità l’inflazione, dato il poco potere che la politica monetaria ha sull’inflazione spinta dall’offerta. In questo caso lo scenario che si andrebbe disegnando porterebbe a qualcosa di più grave e complicato, leggasi stagflazione. Anche partendo da qui si può leggere l’atteggiamento molto prudente della BCE, ben espresso nelle ultime significative parole di Lagarde.

Insomma come sono soliti dire gli inquirenti all’inizio di un’indagine, ogni ipotesi rimane sul tavolo e non si può escludere alcuna pista. Un rompicapo per chi deve gestire la politica monetaria, un invito all’estrema prudenza per chi deve investire sui mercati finanziari.

Foto di Oleg Gamulinskiy

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