Con gli intoppi della supply chain e la variabilità della domanda torna a far parlare di sè il ciclo delle scorte di magazzino, un elemento che può rendere più volatile la crescita economica dei prossimi anni.
Se c’è un dato macroeconomico che la globalizzazione aveva ridotto a pura statistica di contorno, questo era sicuramente quello relativo alle scorte di magazzino. Ma, complici la pandemia e le tensioni geopolitiche, nel nuovo “ordine” dell’economia mondiale si potrebbe tornare a guardare con molta attenzione a questa variabile.
Ad inizio settimana una delle maggiori società della grande distribuzione statunitense, Target, ha diffuso una nota agli investitori nella quale lancia un ‘warning” sulle prossime trimestrali. Motivo? Un magazzino strapieno che costringerà Target a sospendere contratti con i fornitori e ad adottare massicce politiche di sconto sui prezzi per smaltire le scorte. Nel periodo tra febbraio ed aprile le scorte sono cresciute del 43%, conseguenza di una politica di approvvigionamento basata sulla super-domanda di fine 2021 e di consumatori che, con l’inflazione che morde sempre più , iniziano a frenare sui consumi. Target non è sola. Walmart, altro colosso USA della distribuzione, ha registrato nell’ultimo trimestre un aumento delle scorte del 33%; e problemi con le scorte di magazzino li sta registrando anche Macy’s. Da ultimo, il Logistic Manager Index segnala una crescita considerevole delle scorte nel mese di maggio.
Il problema delle scorte, che sembrava oramai un ricordo del passato, torna di attualità e le sue conseguenze sulla crescita economica non sono certo da sottovalutare. Ce lo ricorda in settimana l’Economist che utilizza come termine di paragone il periodo antecedente alla crisi finanziaria del 2008. Nel corso dei primi due decenni del secolo, la crescita di fornitori come la Cina, una maggior capacità di prevedere l’andamento della domanda ed una rete di trasporti sempre più efficiente e veloce, avevano portato le aziende ad adottare una politica di approvvigionamento “on demand”. In altri termini i magazzini rimanevano leggeri e alle variazioni positive della domanda si rispondeva con l’aumento, in tempo reale, degli ordini di fornitura.
La crisi della supply chain, scatenata dalla pandemia e ancor prima dalle tensioni commerciali tra Cina e USA, ed ora rilanciata dalla crisi geopolitica esplosa con la guerra in Ucraina, ha modificato tutto. Le aziende, viste la lentezza nelle forniture e la difficoltà nel reperire molti prodotti, si sono trovate nella necessità di accumulare quanta più merce possibile nei magazzini per far fronte ad una domanda in forte crescita e per poterla sostenere anche nei mesi successivi. La fine delle limitazioni anti-covid con il conseguente slittamento dei consumi dai beni ai servizi, ed un incremento oversize dell’inflazione, hanno mandato in frantumi le proiezioni sull’adamento della domanda, lasciando alle aziende magazzini pienissimi e vendite in calo.
Nel primo scenario, quello che potremmo definire delle forniture “on demand”, le oscillazioni del cosiddetto ciclo delle scorte erano minime e questo significava meno variabilità anche nei profitti ed in definitiva meno scossoni sulla crescita economica di un paese. L’Economist ricorda come in quel particolare periodo storico l’andamento “lineare” della crescita delle grandi economie mondiali fece coniare il termine di Great Moderation.
Tutto cambia con il secondo scenario, quello che sembra andarsi a delineare in questi mesi. Con la domanda che diventa meno prevedibile e le forniture che si fanno più incerte, le aziende sono costrette a subire periodi con livelli di scorte di magazzino eccessivi alternati a periodi con livelli insufficienti. Questo andamento più marcato del ciclo delle scorte di magazzino, in altri termini, significa più variabilità sui costi e quindi sui profitti delle imprese. Alla fine della fiera, significa una crescita economica molto più volatile. Elemento che se protratto nel tempo – e ad oggi è difficile dire se questo scenario sarà solo temporaneo – rischia di trasformarsi in un rallentamento della crescita globale.
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