Model portfolio, sicuri che funzionino?

I model portfolio, asset allocation elaborate dai grandi gestori e “pronte all’uso”, stanno vivendo un periodo di forte espansione. Ma se in linea teorica rappresentano un’interessante opportunità, nella pratica qualcosa rischia di non tornare.

Nell’industria del risparmio gestito è una delle tendenze più interessanti dell’ultimo anno. I model portfolio (MP) non sono altro che raccomandazioni elaborate dalle società di gestione e consegnate ai consulenti come linee guida, non vincolanti, per la creazione dei portafogli dei propri clienti. Strategie, tattiche e naturalmente una lista di prodotti (etf e fondi comuni) nei quali investire per metterle in pratica.

L’idea di poter disporre di soluzioni “pre-configurate” da offrire ai propri clienti ha certamente fatto breccia tra gli advisors. Secondo uno studio Broadridge Financial Solutions gli assets collegati ai model portfolio sono cresciuti del 24% annuo nell’ultimo biennio e continueranno a crescere a ritmi sostenuti anche nei prossimi anni, raddoppiando nel giro di 5 anni. Già oggi la massa amministrata riferibile agli MP sfiora i 5 trilioni di dollari.

Tre accademici, Jonathan Brogaard, Nataliya Gerasimova e Ying Liu, hanno voluto capirci un po’ di più sul fenomeno. E le conclusioni del loro studio sono raccolte in un paper pubblicato a novembre scorso e dal titolo: “Advising the Advisors: Evidence from ETFs”.

Secondo gli autori l’idea dei portfolio model, in linea teorica molto interessante, rischia di incespicare nella pratica. Dai dati analizzati da Brogaard e colleghi emerge che l’appeal della raccomandazione del grande gestore rende gli investitori un po’ meno attenti al profilo dei costi ed alle performance reali degli strumenti consigliati.

Prendendo in considerazione i dati del periodo 2010-2020, si scopre che l’inclusione in un MP aumenta il flusso di investimenti in entrata di un ETF di 1,1 punti percentuali. Gli ETF emessi dallo stesso gestore che ha creato l’MP hanno una probabilità di essere inclusi in una raccomandazione tre volte superiore degli strumenti emessi da terzi. In media gli ETF “della casa” hanno dei costi di gestione più alti di 6 punti base ed un rendimento annuo inferiore di 67 punti base rispetto agli ETF di terzi.

Insomma il costo di queste raccomandazioni d’investimento sembrerebbe piuttosto alto se, come sostiene lo studio, gli investitori accettano di acquistare strumenti meno performanti e più cari.

Illustrazione di Megan Rexazin

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