Un rapporto del Fondo Monetario Internazionale avverte che una presenza troppo invasiva delle aziende statali sta alimentando un problema di produttività nell’economia della Cina.
Quando si parla di produttività, o meglio di bassa produttività, subito la mente tende a collegare questo concetto ad economie avanzate e forse un po’ “decotte”, come la nostra per dirla tutta. Per questo fa sicuramente un certo effetto sentir parlare di problema di produttività in riferimento alla Cina. Eppure dalle parti di Pechino il problema esiste e, anche se ben nascosto dai ritmi di crescita trainati dalle esportazioni, rischia di spiegare i suoi effetti sull’outlook dei prossimi decenni.
Ma di cosa stiamo parlando? L’input arriva da un rapporto redatto dall’IFM e più precisamente dal team della missione del Fondo in Cina, guidato da Helge Berger. La tesi è che un’economia troppo sbilanciata sulla spesa pubblica e sulle aziende a controllo statale minaccia la produttività del paese. Ultima prova raccolta, la ripresa a V che ha permesso all’economia cinese di chiudere l’anno, unica tra le grandi, con una crescita economica positiva.
Il rapporto dell’IFM analizza in particolare le dinamiche del secondo e terzo trimestre 2020. Dopo il tonfo dei primi tre mesi dell’anno, l’economia cinese ha rimbalzato segnando un +3.4% nel 2° trimestre ed un +4.9% nel terzo trimestre. Un recupero poderoso che però risulta abbondantemente sproporzionato verso gli investimenti. Nel secondo trimestre i consumi privati sono rimasti negativi e la ricchezza aggiunta è frutto esclusivo della somma tra investimenti ed esportazioni nette. Nel terzo trimestre i consumi sono tornati positivi, ma risultano ancora inferiori rispetto agli investimenti. I dati del quarto trimestre, non compresi nel report e diffusi ad inizio settimana scorsa, ci dicono che a fronte del “boom” di crescita – un +6.5% – i consumi privati hanno mostrato una frenata nel tasso di crescita.
Questo fenomeno, sostiene il Fondo, rischia di amplificare un trend pericoloso, vale a dire una progressiva perdita di produttività. Dal 3.5% medio di crescita della produttività dal 2007 al 2012, si è passati ad uno striminzito +0.6% medio nel quinquennio succesivo. A ritmi attuali la produttività cinese è circa un terzo rispetto a quella di paesi come gli USA ed il Giappone.
Perchè? Gli investimenti pubblici tendono a concentrarsi soprattutto sulle società a controllo statale, il cui valore totale è stimato attorno al 194% del PIL, percentuale enorme, distante anni luce dalla media delle altre grandi economie mondiali. Ma queste società sono generalmente meno efficienti. Dai dati FMI risulta che la produttività delle imprese a controllo statale è pari all’80% di quelle a capitale privato. E se da un lato le imprese a controllo pubblico non sono in grado di dare un sostanzioso contributo alla crescita dell’economia del paese, dall’altro tendono ad assorbire una larga fetta di risorse, comprese quelle finanziare, sottraendole alle società private. La situazione appare ancora più evidente nella distribuzione dei dividendi: Il 70% di quelli distribuiti (allo stato) viene reinvestita nella società stessa, solo un 30% viene utilizzato dal governo centrale per interventi sociali e a favore della domanda interna.
Una riforma del settore pubblico come da molti invocata potrebbe portare, dai calcoli dell’IFM, a raddoppiare la crescita della produttività dell’economia cinese; dall’attuale 0.8% all’1.4%. Tradotto in termini di PIL, scrive ancora il Fondo, questo miglioramento – applicato al 2022 – farebbe passare la crescita annua dal 5.7% attualmente stimato al 6.5%.
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