Economie mondiali e seconda ondata. Dai dati segnali incoraggianti

Come hanno reagito – e stanno reagendo – le economie mondiali alla seconda ondata di contagi? La domanda se la sono posta in molti, ora i primi numeri macro disponibili ci danno qualche risposta.

Quando nella scorsa primavera la pandemia di codid-19 irruppe sulla scena, l’economia, travolta, cadde in una contrazione dalla rapidità mai vista e dai numeri paragonabili solo agli scenari dei conflitti mondiali. In aprile il PIL globale si trovava ben 20 punti percentuali sotto a quello che doveva essere, in condizioni normali, il suo livello.

Dopo un confortante e forte recupero estivo, la pandemia ha ripreso forza nell’autunno, portando ad una nuova fase di restrizioni, particolarmente stringenti in Europa. Da qui la domanda che da qualche tempo gli economisti hanno iniziato a porsi: sarà un altro bagno di sangue? Ora i primi dati cominciano a dare qualche risposta e, sintetizzando, possiamo dire che la reazione dell’economia mondiale alla seconda ondata è stata sicuramente più positiva rispetto a quanto avvenuto ad inizio primavera del 2020.

Nei giorni scorsi la Germania ha reso nota la prima stima del PIL 2020, l’economia tedesca dovrebbe aver subito una contrazione complessiva del 5%. Questo significa innanzitutto che l’economia teutonica si è comportata meglio della media europea; e, secondo, che nell’ultimo trimestre dell’anno scorso – quando sono state ripristinate le restrizioni anti covid-19 – la crescita è stata pari a zero, ergo l’economia non si è contratta ma ha, in qualche modo, resistito.

I dati inglesi sono ancora più confortanti. Il PIL del mese di novembre scorso ha subito una contrazione del 2,6%, due punti percentuali in meno di quanto si attendevano gli analisti. Un livello che dovrebbe assicurare all’economia britannica di evitare il double dip, chiudendo il quarto trimestre 2020 con una leggera crescita, attualmente stimata attorno allo 0.6%.

La situazione americana è un po’ più complessa. Qui non esiste, almeno per il momento, un’azione federale di mitigazione della pandemia, ogni stato è sostanzialmente libero di decidere che tipo di restrizioni imporre ai propri cittadini ed alle proprie imprese. I dati macro al momento sono ambigui. La produzione industriale di dicembre è cresciuta oltre le attese, ma al contempo aumenta sensibilmente il numero dei disoccupati, cartina al tornasole dello stato di salute del settore dei servizi. Settore martoriato dai lockdown e che, nel caso americano, è il principale serbatoio occupazionale del paese.

Un recente studio di Nicolas Woloszko (OCSE) ha provato a confrontare i dati provenienti dai cosiddetti “indicatori high‑frequency” delle principali economie mondiali nella prima e nella seconda ondata di contagi. Se nella primavera del 2020 i “motori” viaggiavano all’80% della loro capacità, in autunno i dati indicavano un regime più alto, attorno al 90%. La reazione dell’economia in questa seconda ondata è stata migliore. Le motivazioni sono diverse ma hanno tutte a che fare con una parola: adattamento.

I governi (forse non tutti a dire la verità) hanno fatto tesoro di quanto accaduto in primavera, calibrando meglio i loro interventi restrittivi. Le aziende, appresa la lezione, si sono fatte trovare pronte sotto il punto di vista organizzativo. Infine, anche qui con qualche forse di troppo, i cittadini hanno imparato a convivere con le restrizioni e le imposizioni sanitarie.

Tutto questo induce ad un cauto ottimismo sulla possibilità che la ripresa possa farsi strada nel 2021 con una certa consistenza. Tuttavia è presto per cantar vittoria. In primavera, quando speriamo la pandemia sarà tornata finalmente sotto controllo, ci attende una forte riorganizzazione del mercato del lavoro. Specie al di qua dell’oceano, dove in quasi tutti i paesi si è optato per un congelamento della situazione occupazionale. Quello che gli USA stanno già da mesi sperimentando diventerà realtà anche nel vecchio continente. Le armi per affrontare questa differente ondata di emergenza ci sono e sono tutti di natura fiscale.

Foto di Free-Photos

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