L’impatto del coronavirus sui consumi non sarà solo di breve periodo. Si va verso una nuova normalità con attitudini dei consumatori e modalità di vendita differenti. Lo evidenziano alcune recenti ricerche.
La pandemia di coronavirus ha tra i suoi effetti economici più evidenti un forte calo dei consumi. Basti pensare a quanto accaduto negli USA dove nel primo trimestre, ma praticamente nel solo mese di marzo, la componente dei consumi interni è scesa di oltre 7 punti percentuali rispetto al trimestre precedente.
I dati sulle vendite al dettaglio sono eloquenti. Nel grafico qui sopra è riportato l’andamento mensile della variazione delle vendite al dettaglio negli USA ed in Cina. Il baratro scavato da chiusura di negozi ed attività commerciali da un lato e dalla quarantena imposta ai cittadini dall’altro, dovrebbe rimbalzare appena l’emergenza tenderà a svanire (si veda il dato cinese). Ma quello che molte analisi ci dicono è che, in ogni caso, sarà una nuova normalità quella che ci attende. Gli indici sulla fiducia dei consumatori avvertono che sta crescendo la preoccupazione per lo stato delle proprie finanze personali e, parallelamente, diminuisce la propensione alla spesa.
I dati elaborati da GlobalData provano a darci una prima previsione su quello che sarà il volume complessivo dei consumi nel 2020. Il controvalore delle vendite al dettaglio dovrebbe scendere del 3%, che tradotto significano 549 miliardi di dollari in meno rispetto all’anno precedente. Per capire le dimensioni dello shock generato dal coronavirus sui consumi, basti pensare che la precedente stima di GlobalData vedeva un aumento del 5% del volume di vendite al dettaglio (circa 930 miliardi di dollari).
Sofie Willmott, lead analyst di GlobalData, ci dice qualcosa in più. Europa e Stati Uniti pagheranno conseguenze ben peggiori sui consumi rispetto ai paesi asiatici. La ricerca vede infatti le vendite al dettaglio statunitensi cedere il 4.8%, quelle europee il 4.4%, mentre nella zona asiatica e nell’area dell’oceano Pacifico lo scotto sarà solo dell’1.3%.
Una sfida per il settore retail e non di breve termine. McKinsey ha provato a tastare il polso dei consumatori americani. Il 34% è cosciente di come il coronavirus stia impattando negativamente sui propri redditi e sui propri consumi: il 53% dichiara che userà molta più parsimonia nelle spese future. Alcune tipologie di spesa sembrano sotto attenta revisione; per esempio il 67% degli intervistati dichiara di voler spendere meno nel prossimo futuro in abbigliamento.
Ma il sondaggio condotto da McKinsey ci dice qualcosa in più. I consumatori stanno meditando un radicale cambiamento nel modo di fare acquisti e l’online potrebbe diventare parte fondamentale della nuova normalità. Il 15% degli intervistati dichiara di aver provato, in queste settimane di lockdown, nuovi siti di ecommerce (in sostituzione di acquisti in precedenza esclusivamente offline ). Sempre tornando al settore dell’abbigliamento, negli USA ci si attende un aumento della quota di vendite online del 13% (a discapito di quelle offline), mentre la percentuale è ancora più alta nelle attese degli executives asiatici.
Come si traduce tutto ciò per i venditori al dettaglio? Sempre McKinsey ci consegna un dato su cui riflettere. Un aumento della quota di vendite online del 10% ed un calo del margine lordo dell’1% (dovuto alla pressione al ribasso sui prezzi della nuova concorrenza), porterebbe ad una riduzione media dei profitti “offline” del 5%. Una percentuale che significa estinzione per una buona fetta di negozi.
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