La pandemia si può riassumere in una parola chiave: contagio. Il contagio è quello del covid-19, capace di crescere a livelli esponenziali ed arrivato oramai ad essere presente in oltre 50 paesi del mondo, ma è anche il contagio economico e finanziario, che dalla Cina si sta propagando in tutto il mondo.
Se per il contagio da covid-19 l’unica arma a disposizione sembra essere quella del distanziamento sociale, dal punto di vista del contagio economico e finanziario la strategia sembra essere opposta. Mai come in questa crisi è necessario che governi ed autorità monetarie siano prossimi a famiglie ed imprese, vicini quel tanto da contenere il drenaggio di liquidità che rischia di sfociare in una nuova crisi finanziaria.
Nella chiusura del post di martedì scorso si citava il debito come uno degli ostacoli che l’economia mondiale si troverà a dover affrontare nel corso della navigazione verso l’uscita dalla pandemia di covid-19. Non è una sorpresa e gli ultimi numeri a disposizione danno un quadro ancora più chiaro. Il debito corporate, escluso il settore finanziario, rappresenta – dati fine 2019 dell’IIF – il 92% del PIL, per un valore di oltre 70 trilioni di dollari. Di questa massa di debito, il 39% a livello mondiale è rappresentato da titoli con rating inferiore alla tripla B; negli USA il dato aumenta, rappresentando i 2/3 delle emissioni. In prima linea di fronte agli effetti della pandemia ci sono settori come quelli del turismo e dei trasporti, che rappresentano il 7% delle emissioni di debito corporate a livello mondiale.
Su questo quadro occorre proiettare gli effetti economici del covid-19: disfunzioni nella catena di distribuzione, chiusura delle attività di produzione e di vendita.
L’Economist ha pubblicato settimana scorsa un interessante “test” sulla capacità di tenuta delle aziende. L’ipotesi di partenza è una riduzione dei ricavi di 2/3 e l’assunzione che le aziende continuino a pagare salari e oneri finanziari. Delle 3000 società (Cina esclusa) testate, il 13% si ritroverebbe senza liquidità entro 3 mesi, un 13% che rappresenta il 16% del totale di debito corporate presente sul mercato (2 trilioni di dollari). Dopo sei mesi il numero delle aziende al tappeto raggiungerebbe quasi il 25% del totale.
Per questo motivo la politica monetaria sta intervenendo concentrando i propri sforzi sul mantenimento di un adeguato livello di liquidità, puntando le proprie armi non convenzionali anche sugli strumenti di debito privati (specie sulle scadenze a breve). Dal lato della politica fiscale è necessario agire in una prima fase sui costi (tasse e lavoro) ed a stretto giro sugli investimenti per accelerare quanto più possibile la fase di ripresa una volta passata l’emergenza.
La coordinazione tra le due politiche è fondamentale, la prova la si è avuta anche ieri quando i mercati, di fronte agli annunci di massiccia spesa a debito da parte dei governi, ha cominciato ad alleggerire il carico di titoli governativi, facendo riaccendere la miccia dello spread nell’eurozona e ricacciando sopra il punto percentuale i rendimenti dei treasury a 10 anni. Nella notte l’intervento d’emergenza della BCE con un incremento del QE a 750 miliardi di euro (e oltre se necessario) con l’espresso intento di mantenere bassi i differenziali.
Per usare una metafora militare, se alla politica fiscale è affidato il compito dell’assalto in campo aperto, la politica monetaria deve essere l’artiglieria che ne protegge l’avanzata.
Foto di Alexander Stein